– In un periodo in cui l’impatto dell’inflazione sul portafoglio diventa sempre più pesante, è allarmante sapere che solo il 19,8% degli occupati conosce gli strumenti welfare. Il dato emerge dal sesto rapporto Censis-Eudaimon: oltre 8 lavoratori su 10 infatti non conoscono i dettagli di questi dispositivi. Ma in quale campo gli italiani vorrebbero maggior sostegno attraverso il welfare? Per il 79,2% gli strumenti dovrebbero facilitare la conciliazione tra famiglia e lavoro, mentre addirittura per il 68,1% dovrebbero riguardare il supporto psicologico. Ma non è tutto: per il 43% dei giovani il welfare può contribuire a una riorganizzazione migliorativa dell’equilibrio tra vita privata e ufficio. Alberto Perfumo, fondatore e AD di Eudaimon, nel corso dell’evento di presentazione dei dati a Milano a Palazzo Turati ha spiegato le due dimensioni del welfare e quale sia l’importanza di strumenti innovativi e digitali per promuovere la cultura del welfare all’interno delle aziende.

“Il welfare aziendale è un insieme composito di dispositivi d’integrazione al reddito e ai consumi e di soluzioni di welfare propriamente detto: previdenza, salute, scuola, cura della persona, cultura. È fatto di due dimensioni, che nel tempo hanno avuto ruoli e importanze diverse. L’evoluzione del settore, complici gli ultimi interventi normativi, ha messo in evidenza la componente economica, per cui spesso è diventato una somma, agevolata dal punto di vista fiscale e contributivo, messa di fianco alla retribuzione. Non è tanto una questione di stabilire se ci sia un modo più corretto dell’altro di agire, semmai è opportuno chiarire la distinzione, fatta di obiettivi, scelte e modalità operative, tra i due modelli, in modo tale che possano essere compresi come due cose tanto diverse quanto complementari e potenzialmente coesistenti. Servono entrambe: la prima è la salvaguardia igienica del potere d’acquisto: fornisce risorse ai lavoratori senza sovraccaricare le imprese e sostiene i consumi. La seconda componente del welfare, quella della soluzione-servizio, è quella che fa sentire la presenza dell’azienda, è quella che motiva e attrae. Non sembra più il tempo di sforzarsi a interpretare i molteplici bisogni delle persone, ma è necessario saper gestire ogni sottile diversità con un welfare che includa tutti: non potendo soddisfare ogni bisogno, l’azienda può offrire a tutti canali di accesso e opportunità. Da qui, l’opportunità per l’azienda di assumere un nuovo ruolo, quello basato sull’offerta di strumenti in grado di abilitare le persone e metterle nelle condizioni di interpretare da sole le proprie esigenze, qualunque esse siano. Parliamo di un welfare inclusivo e abilitante”.

Alberto Perfumo, fondatore e AD di Eudaimon

Quali sono i tre pilastri del welfare aziendale?
Il welfare aziendale rappresenta una dimensione integrativa del sistema di welfare italiano e, come tale, si propone di migliorare il benessere di lavoratrici e lavoratori lungo gli assi principali del welfare stesso: previdenza, salute e benessere, assistenza all’infanzia e agli altri famigliari, istruzione e formazione, cultura. Così facendo – spiega Perfumo – il welfare aziendale affianca quelli che generalmente chiamiamo i pilastri del sistema di welfare del Paese: il welfare pubblico, quello privato e quello famigliare.

Perché soltanto meno del 20% degli occupati conosce gli strumenti welfare aziendale?
Nonostante il notevole sviluppo degli ultimi anni, il welfare aziendale non si può ancora considerare uno standard nel mondo del lavoro. Degli oltre 20 milioni di lavoratori, solo 8,7 sono dipendenti di aziende grandi e medie ISTAT 2021, ovvero quelle che offrono misure di welfare alle loro persone.

Inoltre – sottolinea l’AD di Eudaimon – la conoscenza è scarsa anche tra i diretti beneficiari dei servizi di welfare aziendale. Ciò accade perlopiù per le carenze di comunicazione da parte delle aziende, legate all’approccio strumentale ai piani di welfare stessi: molte aziende hanno scelto il cosiddetto welfare aziendale come strumento di supporto al reddito e come tale lo hanno gestito, come una sorta di mensilità aggiuntiva. E come sono abituate a trattare il salario, non si sono adoperate per spiegare alle loro persone i benefici del welfare aziendale.

Che tipo di welfare aziendale abbiamo in Italia?
Dobbiamo distinguere tra aziende di diverse dimensioni – spiega Perfumo -. Le aziende grandi hanno sistemi di welfare consolidati, con servizi di assistenza sanitaria e previdenza complementare che vengono dai CCNL e dagli accordi aziendali. A questi, hanno aggiunto da tempo servizi per la famiglia e per la conciliazione vita-lavoro. Solo nell’ultimo periodo, sulla spinta delle opportunità offerte dalla normativa fiscale, hanno integrato i loro sistemi con i cosiddetti flexible benefit, ampi cataloghi di beni e servizi che il lavoratore acquista con un suo credito welfare assegnatogli dall’azienda. Quest’ultima dimensione, molto centrata sugli aspetti economici, porta quasi sempre i lavoratori a fruire di rimborsi spese e buoni d’acquisto vari, ovvero ad usare i flexible benefit come denaro, essendo gli altri aspetti, più propriamente welfare, già coperti da servizi preesistenti in azienda.

Nelle aziende medie, invece, il fenomeno del welfare aziendale è recente ed è spesso il risultato delle novità normative del 2016 e degli anni successivi. Nato come opzione per integrare il reddito delle persone con i flexible benefit, viene utilizzato dai lavoratori soprattutto in chiave economica, ovvero nelle stesse modalità con cui lo utilizzano i lavoratori delle imprese più grandi. Peccato – afferma Perfumo – che loro non abbiano le altre coperture tipiche della grande azienda.

Nelle aziende di piccole e micro-dimensioni di fatto non c’è un welfare strutturato. Il risultato – spiega il top manager – è un patchwork con gradi di beneficio economico e di protezione molto diverso tra lavoratori di imprese di diverse dimensioni.

Quelli impiegati nelle grandi aziende hanno sia strumenti di integrazione al reddito, i flexible benefit, che di protezione sociale, il welfare aziendale.
Quelli delle aziende medie spesso sono garantiti sotto il profilo economico ma restano scoperti sugli aspetti più propriamente welfare e, quindi, sono più deboli dei colleghi delle aziende grandi.
Ultimi, più svantaggiati, i lavoratori delle piccole e medie aziende: per loro non c’è alcun beneficio.

Perché è importante il welfare aziendale?
Oggi il welfare aziendale può assolvere a due importanti compiti, sottolinea il fondatore di Eudaimon.

Il primo è quello di migliorare le relazioni tra le imprese e le loro persone, aumentando il coinvolgimento e contrastando quella disaffezione al lavoro che il nostro 6° Rapporto Censis-Eudaimon ha individuato come una delle grandi criticità delle aziende e dei loro reparti HR. Un welfare aziendale inclusivo, quindi rivolto a tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, e abilitante, ovvero in grado di ascoltare la singola richiesta e abilitare l’utente alla soluzione, orientandolo ai migliori servizi disponibili dentro o fuori l’azienda.

Il secondo è l’integrazione del modello di welfare del nostro Paese, sottoposto alla tensione tra risorse che non possono aumentare e domande di servizi sempre crescenti. Perché i cittadini non si trovino a fare i conti con bisogni, anche urgenti, insoddisfatti, serve coinvolgere altri soggetti sul lato dell’offerta di welfare. E in questo secondo welfare c’è una grande opportunità e un ruolo importante per le imprese.

Lascio sullo sfondo, senza dimenticarlo – conclude Perfumo – il ruolo suppletivo oggi svolto dal welfare aziendale nel supporto ai salari, ruolo di cui hanno beneficiato le agende di tutti gli ultimi governi.

Foto: Studio Republic su Unsplash

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