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Nel 1951, il medico Richard Asher identificò quella che oggi conosciamo essere la sindrome di Munchausen, cioè quello stato in cui i pazienti fingono di essere gravemente malati. Asher si ispirò al romanzo del Barone di Munchausen de 1785 per dare un nome alla “sindrome”.

Il libro racconta le disavventure del nobile soldato tedesco Freiherr von Münchhausen, personaggio basato sul soggetto di Karl Friedrich Hieronymus. Nonostante quest’ultimo abbia espresso il suo dissenso verso la nomenclatura, Asher fece diventare comune la dicitura “sindrome di Munchausen” per descrivere questa condizione.

L’autore del libro “Le avventure del barone di Münchhausen”, Rudolf Erich Raspe, scrisse le sue storie aiutato dai racconti di Hieronymus. Raspe era un uomo inquieto, coinvolto in malaffari e microcriminalità. Sfortunatamente, il suo libro non gli procurò né fama né fortuna e, quando era in vita, il suo nome non appariva nemmeno nell’opera, per evitare controversie con Karl Friedrich.

La parola “Münchhausen”, nel XIX secolo, fu utilizzata dalle masse per indicare storie stravaganti, ma oggi il termine è sicuramente più famoso in quanto denominazione del disturbo mentale in cui si finge di avere gravi sintomi per attirare l’attenzione e la compassione degli altri.

Ergo, Richard Asher ricorse a questo nome per associare la sindrome alla menzogna, la quale pervade tutto il romanzo di Raspe; non a caso, fare riferimento alla figura del Barone di Munchausen significa figurare storie esagerate e non veritiere.



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