«Il PNRR si è dimenticato delle RSA». A sollevare la questione è il presidente di Uneba Franco Massi che con una cinquantina di associazioni e fondazioni coinvolte nella non autosufficienza ha presentato il Patto per il nuovo Welfare con una serie di proposte per la riforma dell’assistenza agli anziani. «La gestione post pandemia del pianeta anziani non ci soddisfa – ammette – nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono previsti 400 milioni di euro per convertire raparti e posti letto di RSA in alloggi protetti, ma non basta.

Il disegno di legge per la non autosufficienza che dovrebbe vedere la luce le prossime settimane, entro fine giugno, deve tenere conto di tutta la rete e le opzioni assistenziali, sanitarie, residenziali, domiciliari, semi residenziali; invece, le RSA sono state escluse ingiustamente a seguito della criminalizzazione fatta nei confronti delle residenze per anziani nella prima pandemia, e noi non lo accettiamo. Il 90 percento dell’assistenza agli anziani oggi è fatto da RSA e badanti una realtà che non si può dimenticare, l’ho detto anche al Ministro Roberto Speranza la scorsa settimana a Bologna per il convegno su non autosufficienza tra residenzialità e domiciliarità. Ogni riforma seria si fa partendo da ciò che già esiste per migliorare».

I numeri della residenzialità per anziani: un gap con l’Europa

Per capire la portata del Piano per il nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza il presidente di Uneba parte dai numeri: in Italia 2 milioni e 700 mila anziani over 80 vivono soli, mentre nelle RSA ci sono 285 mila posti con un netto ritardo rispetto agli altri paesi europei. «In alcuni casi sono la metà, in altri un terzo o un quarto – sottolinea Massi -, Francia, Spagna, Germania e Regno Unito sono tutti meglio strutturati dell’Italia. Non solo, dei 285 mila letti, 215 mila sono in ospedali per acuti tra pubblico e privato; quindi, manca tutta la rete di servizi per la non autosufficienza che va dal domicilio alla semi residenzialità, fino ai centri diurni per i quali nel PNRR non è previsto nulla. Questo è l’errore di fondo.

A fianco di questi tre ambiti: RSA come parte residenziale, centro diurno e domiciliarità si devono innestare tutti gli altri servizi che noi come UNEBA spingiamo da anni e che riguardano anche centri di aggregazione e poliambulatori fondamentali perché ricordiamolo, gli anziani si ammalano anche di solitudine ed ecco perché anche quando si parla di assistenza domiciliare nel PNRR e si dice che viene raddoppiata, occorre partire dal presupposto che oggi prevede 16 ore l’anno, una inezia, che anche se raddoppiata è sempre insufficiente. Pure un’ora al giorno è poca, perché ci sono anziani con la demenza senile o l’Alzheimer che hanno bisogno di assistenza 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno. Quindi il ruolo delle RSA è essenziale».

Cosa fare? La risposta nel SNA

Tra le criticità evidenziate da UNEBA anche la mancanza di sostenibilità che le strutture residenziali per anziani denunciano da anni. «Ci sono realtà, in molte regioni, che da dieci anni non ricevono l’adeguamento delle rette a carico del Sistema Sanitario Nazionale con il risultato che l’aumento dei costi finisce sulle  famiglie, per cui abbiamo aperto un fronte col governo anche per prendere in mano questo capitolo di carattere economico perché la non autosufficienza fa parte del SSN. Dei 285 mila posti letto delle RSA solo il 17 percento è pubblico, il 25 percento è privato profit, poi c’è una quota del 10, 12 per cento delle cooperative, tutto il resto è il non profit di origine cristiana».

L’assistenza pubblica agli anziani non autosufficienti è dunque anche carente sul piano economico e per far fronte a questa difficoltà il Patto per il nuovo Welfare propone di collocarla complessivamente all’interno del nuovo Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA) composto dall’insieme di tutti gli interventi a titolarità pubblica dedicati all’assistenza degli anziani non autosufficienti. Lo SNA si dovrebbe realizzare con un’azione congiunta di misure rivolte agli anziani non autosufficienti, pur nel mantenimento delle attuali titolarità istituzionali.

È così per l’accesso, la valutazione delle condizioni dell’anziano, la progettazione e l’erogazione delle risposte, l’organizzazione dei servizi, la programmazione e il monitoraggio degli interventi. «Il primo correttivo da fare è riconoscere pari dignità ai vari servizi residenziali, semi residenziali e domiciliari – ribadisce Massi -. Sono misure complementari che non vanno in contrapposizione le une con le altre. La domiciliarità è da tutelare, ma non è per tutti e quindi è fondamentale che nel cosiddetto piano assistenziale individuale (PAI) redatto dal medico di famiglia e all’interno delle case di comunità se ne tenga conto e si vada ad individuare il miglior servizio possibile per la persona anziana, senza demagogia».

 

 

 



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