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Gabriele Salvatores: "Spero ci si riaffezioni al cinema, mi piacerebbe regia videogioco"


Il regista premio Oscar a Milano per la proiezione restaurata di ‘Nirvana’ incontra il pubblico e parla di intelligenza artificiale: “Contrario a uso sbagliato che ne può derivare”

Il regista Gabriele Salvatores (a destra) durante il talk a Milano per la proiezione di 'Nirvana'
Il regista Gabriele Salvatores (a destra) durante il talk a Milano per la proiezione di ‘Nirvana’

Io spero che ci si riaffezioni al cinema, mi fa piacere vedere la sala piena di facce, oggi un film si può guardare ovunque ma non è la stessa cosa. La potenza del cinema è quella di evocare i fantasmi, come diceva Jacques Derrida, ma di fatto i fantasmi, per apparire, hanno bisogno di buio e silenzio”. Gabriele Salvatores parla nella sala gremita dell’Anteo Palazzo del Cinema di Milano, dove sta per essere proiettata la versione restaurata di
Nirvana’ pellicola cult che nel 1997 spiazzò spettatori e critica grazie al suo carattere visionario e innovativo, precursore della trilogia di ‘Matrix’. A quasi 30 anni dalla sua uscita, il regista premio Oscar, grazie a Tyler Ov Gaia e NUL, collettivo attivo nel promuovere eventi artistici multidisciplinari, con il supporto di Morningstar Production, incontra il pubblico e si confronta parlando a ruota libera di intelligenza artificiale, filosofia e cinema.

Secondo Salvatores “quelle due ore da dedicare a una cosa in cui non si è interattivi ma passivi e attivi solo con la testa e il cuore permette di rientrare nella caverna di cui parlava Platone e di abbandonarsi al sogno. Io – evidenzia – spero che la gente torni al cinema, le sale non moriranno mai”. All’Anteo l’emozione di rivedere sul grande schermo uno dei più importanti film italiani di fantascienza è palpabile, soprattutto per chi, troppo giovane all’epoca dell’uscita in sala della pellicola, si prepara a viverla per la prima volta. Il film, che vede protagonisti Christopher Lambert e Diego Abatantuono, arrivò dopo il trionfo agli Oscar di ‘Mediterraneo’. Salvatores girò la storia cyber-punk a Milano, nella zona industriale, tra fabbriche in disuso trasformate in set dove è stata ricreata una versione acida e multi-etnica di Milano. Una Milano distopica, dove gruppi di hacker vivono di espedienti e incursioni nelle praterie cibernetiche, al confine tra reale e irreale.

“Quando uscì ‘Mediterraneo’ – racconta il regista – per evitare l’ansia da botteghino io e Rita (sua moglie, ndr) partimmo per l’India. Era il mio primo viaggio lì, e tra le altre cose straordinarie che questo Paese mi fece scoprire, tra gente che faceva yoga e i bambini morti abbandonati nel fiume, c’erano dei ragazzini con dei computer che definirei bellici che lavoravano seduti sulle gradinate. Ricordo che ci fu un cortocircuito incredibile tra la civiltà di 6mila anni e il pc”. Ma non solo. “Con Diego Abatantuono giocavamo spesso al Nintendo – ricorda Salvatores – e una volta mi disse ‘ma quando spegniamo la consolle che fanno i giocatori? Escono con la fidanzata, si fanno la doccia, vanno in discoteca?’ Contemporaneamente, Kurt Cobain, il leader dei Nirvana, si uccise lasciando questo messaggio ‘non riesco più a stare in questo gioco’. E l’idea del film è nata così”.

All’epoca pensare di realizzare una pellicola di fantascienza in Italia sembrava impossibile. “Ricordo che un giorno, senza che mi vedesse, sentii Cecchi Gori esclamare ‘come faccio a dire a uno che ha vinto l’Oscar che è una pazzia fare fantascienza in Italia?’ Però ci siamo riusciti – evidenzia il regista -. In ‘Nirvana’ ci sono effetti speciali digitali, i primi realizzati in Italia da ragazzi giovanissimi ma molto è costruito fisicamente. Nel 1996 non si sapeva niente di virus informatici ed era molto particolare, quando il film uscì al cinema la gente temeva che uscendo dalla sala si fosse infettata”.

Salvatores ricorda inoltre come il film riscontrò successo fuori dai confini nazionali: “Il produttore americano Harvey Weinstein, che come abbiamo visto è una persona orribile ma capiva di cinema, era entusiasta e spese un sacco di soldi per doppiarlo in inglese e farlo uscire in modo diffuso. Quando fu proiettato in versione originale e sottotitolata a New York ebbe un successo pazzesco ma quando venne doppiato in inglese alla gente non piacque più. Perché il film è legato a un’italianità molto concreta”. Un’italianità che è anche la cifra stilistica del regista: “Le proprie radici sono importanti – sottolinea Salvatores – sono le cose con le quali sei cresciuto. Un albero è forte se le radici sono solide e in ‘Nirvana’ volevo mettere dentro uno sguardo ‘nostro’ invece di scimmiottare gli americani”

L’incontro con il pubblico è anche l’occasione per affrontare il tema dell’intelligenza artificiale. “È un problema molto grosso sia per il cinema sia per la società in generale – osserva Salvatores – l’Ia non nasce intelligente, siamo noi a insegnarle ad esserlo e può essere pericoloso. Io ho provato a chiedere all’Ia di scrivermi un soggetto ed è venuta fuori una schifezza…è innaturale. Non sono contro la tecnologia ma contro l’uso sbagliato che se ne può fare, come ogni cosa”. Per quanto riguarda il cinema “io ho appena finito di girare il film ‘Napoli-New York’ da un soggetto inedito di Fellini, abbiamo usato i computer per ricreare sfondi ed ambientazioni e ne è stato fatto un uso interessante e diverso – spiega il regista -. Se però non usi più gli attori oppure gli cambi letteralmente i connotati è altro discorso e assomiglierebbe a un videogioco. Ecco, mi piacerebbe fare la regia di un videogioco ma cinema è un’altra cosa”.


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