L’attore coprotagonista del film di Virzì: “Era una commedia all’italiana, ora ha un tono più esistenziale”. Orlando all’Argentina di Roma con ‘Ciarlatani’ fino al 17 marzo

Silvio Orlando - Fotogramma /Ipa
Silvio Orlando – Fotogramma /Ipa

“Questo film era ineluttabile, Paolo Virzì ci pensava da tantissimo tempo, potremmo dire da 28 anni, cioè dall’indomani dell’uscita nelle sale di ‘Ferie d’Agosto’…”. E’ quanto osserva Silvio Orlando, intervistato dalla AdnKronos, fra i protagonisti di ‘Un altro Ferragosto’ sempre diretto dal regista toscano, in uscita da domani al cinema. “Ho avuto inizialmente qualche perplessità sull’arco temporale del mio personaggio, tre decenni dopo – confessa l’attore -. Tra l’altro, lui è arrivato ai suoi ultimi giorni di vita… Ma si può anche aggiungere che la mia ‘dipartita’ è l’elemento forse meno tragico del film – sorride Orlando – e quelli che restano in vita hanno davanti un futuro che non riescono più a immaginare, non sanno più chi e cosa li può guidare. Alla fine, l’elemento tragico pervade un po’ tutto il film”.

Sottolinea ancora Silvio Orlando: “Viene chiamato sequel ma, in realtà, mi è difficile immaginare due film più diversi. ‘Ferie d’Agosto’ era un ritorno alla grande commedia all’italiana che sa affrontare anche situazioni dure suscitando una risata; ‘Un altro Ferragosto’ ha un tono diverso, basato più sul vuoto esistenziale che sulla divergenza politica. Del resto, abbiamo smarrito oramai qualunque riferimento, tra fine delle ideologie e crisi delle fedi religiose. Cosa resta? Resta il denaro, connesso al successo personale e alla visibilità sui social: una sorta di ‘pornografia’ della propria vita… Ma, alla fine, quella che scorre nelle nostre vite rimane un’acqua che non disseta”.

L’attore all’Argentina di Roma con ‘Ciarlatani’ fino al 17 marzo

“Chi sono i registi e gli attori ‘ciarlatani’? Naturalmente, il primo sono io!”, esclama quindi Silvio Orlando, in scena fino al 17 marzo al teatro Argentina di Roma con ‘Ciarlatani’, commedia scritta e diretta dallo spagnolo Pablo Remon, che ha debuttato in Italia al ‘Festival dei Due Mondi’ di Spoleto. “Sul palcoscenico porto sempre testi che, in qualche modo, mi riguardano e mi coinvolgono, che mi toccano – spiega l’attore – Non mi piace nella maniera più assoluta giudicare qualcuno che non sia me stesso, nel bene e nel male”.

Al centro dell’opera tragicomica sono le vite parallele di una giovane attrice di teatro la cui carriera è in stallo e di un anziano regista di cinema ora praticamente scomparso e isolato dal mondo: la prima alla ricerca di un grande personaggio che possa portarla al successo, il secondo stanco di girare film commerciali e di cassetta che cerca di ripensare alla sua carriera, rifiutando il coinvolgimento in una grande produzione internazionale con star famose. Due storie che, pur se raccontate in parallelo, si intrecciano e si alimentano a vicenda.

“Lo spettacolo, che rispetto alla versione spagnola cui ho assistito è stato snellito sia nel testo che nell’impianto scenografico, parla incidentalmente di persone appartenenti al mondo del cinema e del teatro, ma vorrei che fosse visto come una metafora di tutte le professioni, dove tutti ci sentiamo piccole star, tra foto su internet, ‘like’ sui social e conteggio dei follower, ci sentiamo al centro del mondo, l’ombelico attorno a cui tutto ruota. Il mondo dello spettacolo è solo più emblematico di questa tendenza comune – osserva Silvio Orlando – a non voler affrontare i veri nodi della nostra vita”.

Ma c’è un antidoto alla ‘ciarlataneria’? “Affrontare le proprie crisi, i propri fallimenti, i propri errori, le proprie incapacità, senza dare le colpe agli altri e assumendoci le nostre responsabilità – risponde l’attore – perché il vero nemico che ci impedisce di crescere lo abbiamo dentro: un metodo semplice ma difficile e talora doloroso, al tempo stesso”.

(di Enzo Bonaiuto)

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