C’è un giorno all’anno, il 2 aprile, in cui in occasione della Giornata Mondiale dell’autismo tutti i riflettori sono puntati su questa condizione: fioccano iniziative, convegni, attività, proposte. E appelli che cadono nel vuoto, il più delle volte, per gli altri 364 giorni dell’anno. 364 giorni in cui le famiglie sono lasciate sole, con le loro sfide da affrontare e le difficoltà che queste comportano. Insieme alla voglia di non arrendersi. Sanità Informazione ha raccolto su questi temi un’importante testimonianza: quella di un papà, e di una famiglia, che dinanzi alla diagnosi di autismo del loro secondogenito decidono di agire in prima persona creando una rete di supporto per le altre famiglie alle prese con le stesse difficoltà, cercando di colmare quel vuoto che, in Regione Campania, caratterizza l’assistenza sanitaria e sociale per le famiglie dei ragazzi autistici.
Lui è Marco Basile, ingegnere napoletano e papà di Gaetano, diciassettenne autistico. Nel 2010 fonda, insieme a 40 genitori, Specialmente Noi Onlus ODV, che oggi è una delle più importanti associazioni di pazienti sul territorio campano nell’ambito dell’autismo e dei disturbi dello sviluppo, attiva nella formazione, nella sensibilizzazione, nella promozione della ricerca scientifica oltre che nell’organizzazione e promozione di attività educative, sociosanitarie, riabilitative e sportive. Ma non è tutto: Marco non si arrende alle pastoie che troppo spesso caratterizzano il progresso scientifico e lotta contro tutto e tutti per cercare la cura più adatta per suo figlio. E alla fine la trova, aprendo finalmente uno spiraglio di luce (e di novità) nell’ambito delle terapie farmacologiche per il trattamento dell’autismo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Come descriverebbe la situazione in Campania per quanto riguarda la diagnosi e la presa in carico dell’autismo?
«La descriverei drammatica, per entrambi gli aspetti. Per ottenere una diagnosi presso una struttura pubblica i tempi delle liste d’attesa sono biblici. Vorrei poter dire che la situazione sia migliorata negli ultimi anni, ma è esattamente il contrario, visto che sono stati tagliati i già pochissimi posti letto delle strutture pubbliche atte a ricoverare i bambini per il compimento dell’iter diagnostico. In media oggi sono necessari 6 mesi per ottenere una diagnosi, 6 mesi in cui il bambino peggiora inevitabilmente. Dopodiché inizia il calvario della presa in carico, con il piano terapeutico di 6/8 ore da svolgere in uno dei tanti centri accreditati, presso i quali inizia una sorta di pellegrinaggio in cerca di quello con una lista d’attesa più accettabile degli altri. Lista d’attesa che in media è di due anni, quindi altro tempo perso. La riabilitazione nei centri pubblici? È utopia: non esiste. I nostri figli sono considerati numeri, utili a far fruttare e proliferare il business del privato accreditato, visto che poi meno dell’1% dei ragazzi autistici entra nel mondo del lavoro».
In questo contesto, qual è il ruolo delle associazioni di genitori come Specialmente Noi Onlus ODV?
«In una situazione del genere sul territorio si capisce che le associazioni di pazienti svolgono, tra le altre cose, un ruolo fondamentale di ammortizzatore sociale, nel nostro caso per i ragazzi autistici e le loro famiglie. Organizziamo moltissime attività extrascolastiche, dai corsi di ceramica ai corsi di vela, e i campi estivi insieme agli educatori, dal momento che nulla è previsto per i nostri ragazzi finito il tempo scuola».
A che punto siamo con la ricerca scientifica?
«Purtroppo la ricerca scientifica in campo farmacologico è stagnante. La terapia farmacologica d’elezione per i bambini e ragazzi autistici è sostanzialmente ferma agli psicofarmaci, tutti farmaci off label quindi non specifici per l’autismo, i quali però da un lato creano dipendenza e assuefazione, e dall’altro accelerano inesorabilmente il declino cognitivo. A questo non si pensa purtroppo, non si riesce a guardare oltre, in particolar modo quando i nostri figli durante il periodo dell’adolescenza, in una percentuale rilevante, sviluppano aggressività da tenere a bada, che pregiudica ancora di più da adulti la possibilità di in un inserimento sociale e lavorativo. Come sarà mai possibile sperare in questo, anche alla luce di quanto detto sugli effetti degli psicofarmaci sul medio-lungo periodo?»
Ma lei non si è arreso a ciò…
«No, ho deciso di muovermi autonomamente: mi sono documentato sugli studi, pubblicati su PubMed a fine 2017, condotti dal medico israeliano Adi Aran sull’utilizzo della cannabis terapeutica nei casi di autismo, scoprendone i risultati più che positivi nel 50% dei soggetti. Ho smosso mari e monti per avere l’opportunità di somministrare la cannabis terapeutica a mio figlio, e ci sono riuscito. Gaetano, mio figlio, è stato probabilmente il primo paziente autistico in Campania ad utilizzare il CBD, con risultati sorprendenti nella modulazione della sintomatologia. Ma è assurdo che sia stato io, un “non addetto ai lavori” a comprendere le potenzialità di questa strada e a darmi da fare per intraprenderla».
Perché c’è ancora reticenza da parte della comunità scientifica sull’uso della CBD?
«Perché non si investe a sufficienza nella formazione e nell’aggiornamento della classe medica. La terapia comportamentale e la psicomotricità sono condizioni necessarie ma non sufficienti, per dirla in termini ingegneristici. Una volta che i nostri ragazzi saranno adulti e usciranno dalla presa in carico della neuropsichiatria infantile, dopo anni di terapia farmacologica a base di antipsicotici, cosa ne sarà di loro? È tutto demandato alle famiglie, che in molti casi hanno le mani legate. Il 2 aprile non c’è nulla da celebrare, perché se è vero che un giorno all’anno si accendono i riflettori sull’autismo, gli altri 364 giorni il fardello resta esclusivamente a carico delle famiglie e dei nostri ragazzi».