L’imprenditore: “Prevenzione deve essere per tutti. E’ vero siamo privilegiati ma ci sono cose per le quali centro, destra e sinistra dovrebbero essere uniti e una è il diritto alla salute”

Flavio Briatore - (Fotogramma)
Flavio Briatore – (Fotogramma)

Pasqua “bello tranquillo a casa” per Flavio Briatore, che in un’intervista al ‘Corriere della Sera’ si racconta dopo l’operazione subita per l’asportazione di un tumore benigno al cuore. “Ho preso uno spavento. Ero andato al San Raffaele per un check up concordato da tempo”, dice, confessando che il pensiero che più lo angosciava dopo la diagnosi era “Lasciare mio figlio: ha solo 14 anni, è ancora piccolo”. E infatti, ricevuta la diagnosi il 14 marzo, ha rimandato l’intervento di qualche giorno proprio per non mancare al compleanno del figlio: “Il 18 era il compleanno di Nathan Falco. L’ho festeggiato con la madre, il mattino dopo sono tornato al San Raffaele: alle 14 mi hanno operato”.

Alla domanda se abbia temuto di morire sotto i ferri, Briatore risponde con un elogio della sanità italiana: “In questi casi sei un po’ fatalista. La sanità italiana ha centri di eccellenza a livello internazionale, con i migliori chirurghi al mondo. Quando hai la vita in mano a gente così preparata quello che succede è un po’ il tuo destino. In un’operazione a cuore aperto non puoi farci nulla, devi essere ottimista per forza: è la testa che ti aiuta a guarire”.

All’appello per la prevenzione lanciato dall’imprenditore dopo l’intervento, c’è chi ha risposto che la prevenzione è roba da ricchi. “È vero – ammette – siamo dei privilegiati. Dovremmo tutti poter fare i check up. Ci sono cose per le quali centro, destra e sinistra dovrebbero essere uniti e una è il diritto alla salute”.

E a chi lo ha accusato non pagare le tasse in Italia, ma di essere venuto a curarsi qui, replica: “Sono i soliti. Intanto per curarmi a Milano ho pagato, non l’ho fatto gratis. E l’ho scelto perché pur avendo vissuto in America, a Londra, in Francia, il livello degli ospedali italiani resta il più alto”. Le tasse “le pago anche in Italia, esattamente come le pago in tutti i Paesi nei quali ho delle attività. Mi sono trasferito a Monte Carlo dieci anni fa, ma in Italia non vivo da 40 anni: da allora non ho più un conto corrente italiano! A Monaco ho 350 dipendenti, a Londra 200, li ho a Riad e a Dubai. In Italia spero di poterne assumere presto altri”.


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