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– E’ il 15 settembre 2008, sono circa le 5 del mattino quando Lehman Brothers, quarta maggiore banca d’investimento degli Stati Uniti, chiede l’ammissione al Chapter 11 del codice fallimentare Usa, dichiarando il default.

A causare il crac della banca Usa, fondata nel lontano 1850, la crisi dei mutui subprime, ossia prestiti concessi nell’ambito del mercato immobiliare a persone che non avrebbero potuto accedervi in condizioni normali perché avevano minori garanzie di solvibilità.Un fallimento che innescò uno spaventoso effetto domino provocando crolli in borsa in gran parte del mondo, Europa compresa.

CROLLANO LE BORSE, SPAVENTOSO EFFETTO DOMINO – Il Dow Jones perse più di 504 punti, facendo registrare il crollo più alto dal 17 settembre 2001, primo giorno di scambi dopo l’attentato alle Torri gemelle. In una sola seduta i listini del Vecchio Continente bruciano oltre 120 miliardi di euro di capitalizzazione. L’effetto Lehman colpisce anche i mercati valutari, con l’euro che schizza oltre quota 1,44 dollari e poi frena, tornando intorno a 1,42 sul finale, mentre il petrolio crolla sotto i 100 dollari, col Light crude sotto 96 e il Brent sotto i 93.

Oggi sono trascorsi 15 anni dal crac diventato emblema di una crisi globale, ancora non superata. Secondo la gran parte degli analisti, infatti, stiamo parlando del più importante fallimento della storia degli Stati Uniti, un evento che ha cambiato i connotati dell’economia mondiale, del quale, a distanza di anni, si sente ancora il peso a causa del cosiddetto ‘effetto Lehman’ che ha stravolto gli Stati Uniti, innescando una spaventosa recessione economica mondiale.

25mila le persone che furono licenziate. Uno dei momenti di maggior impatto a livello emotivo è certamente quello che fu ribattezzato la lunga “processione” di trader ed operatori finanziari con gli scatoloni in mano.

TOO BIG TO FAIL – Per ripagare i creditori tutti i beni della banca furono messi all’asta, inclusa l’insegna Too big to fail, “Troppo grandi per fallire”. A riportare, di recente, alla ribalta l’incubo ci sono stati negli ultimi mesi il ‘salvataggio’ di Credit Suisse e il fallimento di Silicon Valley Bank, che hanno riacceso i timori di un nuovo shock al sistema dalle conseguenze imprevedibili. Timori che però si sono rivelati infondati: i problemi di Svb, Signature Bank e First Republic non hanno contagiato l’industria bancaria che, grazie alle regole varate nel 2008 e nel 2009, è più solida e meglio capitalizzata.

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