Curare il dolore non è solo un problema etico, ma sanitario. E l’importanza di creare reti efficienti ed efficaci nel garantire ai cittadini una corretta presa in carico del dolore cronico, come sintomo e come malattia, è una questione non solo sanitaria, ma sociale. Su queste premesse si è innestato il dibattito che ha avuto luogo ieri a Napoli, nella splendida cornice del Maschio Angioino, nell’ambito della cerimonia inaugurale del 45° Congresso dell’AISD (Associazione Italiana per lo Studio del Dolore).

Il dolore affligge oggi 13 milioni di persone in Italia e la legge 38/2020 che tutela il diritto alla cura del dolore sembrava aver raccolto e accolto tutte le istanze provenienti da istituzioni e cittadini in merito: Dalla linea di demarcazione tra cura del dolore e cure palliative all’ideazione di reti che garantissero un’applicazione uniforme ed efficiente delle terapie del dolore. Tuttavia, una recente survey promossa dall’Associazione ha messo in luce il dato per cui il 74% dei cittadini italiani non è a conoscenza di questa legge. E non è tutto: la cura del dolore continua ad essere una grande assente dall’agenda delle istituzioni, dal DM 71 al PNRR.

La falsa partenza della legge 38/2020 sulla cura del dolore

«Il fatto che oggi parliamo ancora di obiettivi della legge 38 e non di risultati, è la riprova che questa legge non ha mai trovato la sua piena attuazione, che le sue intenzioni in buona parte sono rimaste ferme al punto di partenza, senza riuscire a esprimere il proprio potenziale – afferma Maria Caterina Pace, presidente dell’AISD -. Questo ha un impatto drammatico sui pazienti (e sulle loro famiglie) che continuano a vivere nel dolore, senza essere ascoltati, senza essere curati e nel 37% dei casi senza una diagnosi. Le reti, che hanno lo scopo di efficientare la comunicazione tra cittadino e medico, e tra ospedale e territorio, operano a macchia di leopardo non solo tra le Regioni, ma anche all’interno di una stessa Regione. Dare piena attuazione a queste reti, riportare la cura del dolore al centro dell’agenda di governo e implementare l’informazione tra i cittadini è per noi prioritario».

Dimensione multifattoriale e costi indiretti del dolore cronico

Il dolore, inteso come fenomeno biopsicociale, è un sintomo da trattare nella sua complessità multifattoriale, senza tentare di normalizzarlo o peggio sottostimarlo. «I pazienti non si sentono ascoltati, non trovano comprensione del loro dolore che anzi nella maggior parte dei casi è sottostimato – aggiunge Tiziana Nicoletti, Responsabile Coordinamento Associazione Malati Cronici per Cittadinanzattiva –.  Inoltre, a causa di un gap di comunicazione profondo tra medico e pazienti, questi ultimi non conoscono i centri sul territorio che possono prenderli in carico, né le modalità con cui questa presa in carico debba avvenire. È importante considerare che il paziente che non cura il dolore ha anche dei costi indiretti perché, per dirne una, è un paziente che non può recarsi a lavoro. È importante ripensare l’assistenza al dolore dalle fondamenta, prevedendo una valutazione di questo anche in fase di triage per chi giunge in Pronto Soccorso».

Sinergia territorio, istituzioni e terzo settore

«Un tale scollamento tra istituzioni e territorio non può essere più ammissibile sul tema del dolore cronico – interviene la dottoressa Paola Pisanti (Ministero della Salute) – un tema su cui c’è ancora troppo poca coscienza sociale. Non dobbiamo dimenticare che il malato cronico ha più bisogni sociali che sanitari, motivo per cui dobbiamo arrivare a un pieno compimento della presa in carico e della continuità assistenziale per questi pazienti, e ad una integrazione sociosanitaria che passa anche dalla collaborazione tra istituzioni e associazioni del terzo settore».

 



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