Il Pronto Soccorso del più grande ospedale del Sud Italia è da giorni nell’occhio del ciclone. Parliamo dell’A.O.R.N. Antonio Cardarelli di Napoli, dove la scorsa settimana 25 medici del reparto di Emergenza Urgenza hanno rassegnato tutti insieme le loro dimissioni. Un segnale importante, un atto di accusa sicuramente. Ma quello che è successo al Cardarelli non è che la punta di un enorme iceberg, emersa nel capoluogo campano, ma che riassume anni di malcontento dei camici bianchi di tutto il Paese, contro le falle di un sistema sanitario in profonda crisi, che nonostante la sferzata imposta dalla pandemia, non riesce a farsi carico adeguatamente né dei bisogni dei pazienti né delle esigenze degli operatori.

E mentre all’interno dell’ospedale napoletano esplode il caos, Sanità Informazione ha cercato di vederci chiaro, raccogliendo la testimonianza di Maurizio Cappiello, medico urgentista del Cardarelli e componente del direttivo Anaao Assomed.

Dottore, ripercorriamo le tappe di quello che sta succedendo oggi..

«Le dimissioni di massa sono frutto di un disagio ormai cronicizzato che affonda le sue radici molti anni orsono. Un disagio dovuto soprattutto alle precarie condizioni di lavoro in Pronto Soccorso, a causa del sovraffollamento, del contenzioso medico legale e della mancata sicurezza percepita sul luogo di lavoro per il fenomeno delle aggressioni ai danni del personale sanitario. Questi fattori atavici si sono riacutizzati durante la pandemia e hanno determinato uno stato di esasperazione che ha spinto i 25 colleghi residui, su 46 in organico ante Covid-19, a rassegnare le dimissioni. Colleghi messi davanti all’impossibilità di conciliare vita professionale e personale, senza prospettive di carriera».

Cosa si sta facendo per ovviare alle immediate criticità?

«Nel mese di giugno altri tre colleghi del Pronto Soccorso andranno via, ne rimarranno quindi solo 22. Se a questo aggiungiamo il fatto che siamo prossimi alla stagione estiva e quindi alle ferie, il personale effettivo calerà ulteriormente. Per ovviare a questo problema, l’Azienda fa quel che può, tenendo presente il contesto emergenziale: al momento si fa fronte con i cosiddetti ordini di servizio, che spostano temporaneamente personale (prevalentemente internisti e chirurghi) dai loro reparti al Pronto Soccorso, il che però indebolisce l’assistenza nei reparti, si coprono meno sale operatorie, si dimettono meno pazienti, e le liste di attesa si allungano.

Come si dice, la coperta è corta. È un circolo vizioso che alimenterà un maggiore sovraffollamento del Pronto Soccorso, il cosiddetto “boarding” alias stazionamento, che rappresenta da sempre una delle maggiori criticità dell’ospedale Cardarelli, con pazienti che rimangono in barella per molti giorni».

Sul lungo periodo, esistono strategie da mettere in atto per rimettere in sesto la situazione?

«Questi problemi esplodono al Cardarelli, ma sono una cartina al tornasole di un’emergenza nazionale: il fallimento del modello unico del medico di Pronto Soccorso. È impensabile, e inverosimile, che un medico possa fare tutto. I correttivi potrebbero consistere in maggiori ferie per il riposo psico-fisico, aumento delle retribuzioni in linea con l’impegno morale e materiale che contraddistingue la nostra professione, miglioramento delle condizioni di lavoro. E per quanto riguarda il nostro caso specifico, sicuramente l’apertura di altri Pronto Soccorso nella città di Napoli, in primis nei due policlinici universitari, apertura a nuove forme di reclutamento del personale, integrazione tra il dipartimento di Emergenza ed il territorio».

 



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