antiche donne vichinghe fasciavano testa ragioni ignote v3 710733

L’immaginario vichingo è stato molto importante durante lo scorso decennio. Grazie ad esso sono stati prodotti libri, serie tv, film e videogiochi, permettendo a questa antica cultura di essere riscoperta dalla massa.

Non tutti i vichinghi che si diffusero in Europa rientrano però nelle iconografie classiche tramandate dal loro popolo. Non tutti i guerrieri vichinghi avevano infatti i capelli biondi e gli occhi azzurri e non tutti seguivano gli stessi riti pagani, diffusisi in Scandinavia e in Inghilterra, attorno all’800 d.C.

A dimostrarlo è il ritrovamento di tre particolari crani in un sito vichingo nell’isola baltica di Gotland. Questi crani appaiono allungati, quasi alieni, e hanno ricordato a molti i crani risalenti alla dinastia egizia della stirpe di Akhenaton.

Ovviamente questi teschi sono molto più recenti, risalendo a poco più di un migliaio di anni fa, ma hanno permesso agli archeologi di stabilire come le culture vichinghe fossero variabili e potessero presentare delle differenze, di regione in regione.

Nessun altro sito vichingo presenta infatti dei crani così pesantemente deformati e le uniche cose che sappiamo dei suoi possessori è che probabilmente erano delle ragazze, indotte fin dalla tenera età a fasciarsi la testa.

Questa pratica giunse in Europa all’epoca dell’invasione barbariche degli Unni, i nomadi guidati dal condottiero Attila (di cui non conosciamo la posizione della tomba), ma furono pochi i popoli europei che mantennero questa tradizione, durante l’Alto Medioevo.

Non si conoscono quindi le ragioni che hanno spinto questi vichinghi a fasciare la testa di alcune loro ragazze, poi sepolte in età diverse. Una teoria vuole che queste donne appartenessero a una famiglia particolare, che seguiva una religione differente o che proveniva dall’estremo oriente russo, dove questa tradizione era stata mantenuta in vita. Poi, durante una migrazione, questa famiglia venne assorbita dalla società vichinga, che ne ospitò gli eredi.



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