Potrebbe esserci un modo per sapere se un adolescente svilupperà il Long Covid a seguito di un infezione. Si tratta di misurare una serie di biomarcatori potenzialmente predittivi di una sindrome post-infezione che sembra essere molto più comune di quanto immaginato prima. A scoprirlo è stato uno studio pilota, coordinato da Marco Fiore e Carla Petrella dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Ibbc). I risultati, pubblicati sulla rivista Diagnostics, potrebbero aiutare a individuare nuove strategie per mitigare gli effetti a lungo termine del Covid.

Astenia e affaticamento tra i sintomi del Long Covid

In una percentuale di guariti dal Covid-19 permane una condizione di malessere definita Long-Covid, caratterizzata da astenia, affaticamento, respirazione difficoltosa e da sintomi cognitivi, come perdita di memoria, difficoltà di concentrazione, ansia e depressione, indicati spesso come «brain fog» e alla base del quadro clinico definito come NeuroCovid. Nel nuovo studio, condotto presso il Policlinico Umberto I dell’Università Sapienza di Roma, i ricercatori hanno trovato un modo che può aiutare a individuare gli adolescenti più a rischio.

Allo studio biomarcatori infiammatori e due neurotrofine

«Abbiamo misurato – spiega Fiore – i livelli di alcuni biomarcatori infiammatori e di due neurotrofine (Ngf e Bdnf), fattori proteici che regolano la crescita, la sopravvivenza e la morfologia dei neuroni, nel siero di una piccola coorte di ragazzi e ragazze che avevano contratto l’infezione durante la seconda ondata della pandemia, tra settembre e ottobre 2020, ma negativi al momento del prelievo». I ragazzi sono stati suddivisi in 3 gruppi: asintomatici, sintomatici acuti, sintomatici acuti che nel tempo hanno sviluppato sintomi del Long Covid.

Bassi livelli di Ngf negli adolescenti con infezione da Sars-CoV-2

«Questi dati sono stati poi confrontati con i valori emersi da un gruppo campione – continua Fiore – che non aveva contratto la malattia. Abbiamo riscontrato che i livelli sierici di Ngf erano inferiori in tutti gli adolescenti che avevano contratto l’infezione da Sars-Cov-2, rispetto ai controlli sani. La relazione inversa fra livelli di Ngf e sindromi da stress è ampiamente riportata dalla letteratura scientifica».

Altri biomarcatori sono risultati elevati tra coloro che hanno sviluppo il Long Covid

La ricerca ipotizza che la diminuzione di Ngf rifletta un’attivazione persistente dell’asse dello stress, dovuta a un effetto diretto del virus oppure agli effetti psico-sociali conseguenti all’isolamento e alle modifiche della routine quotidiana riscontrate durante i periodi di quarantena. «I livelli di Bdnf, analogamente al biomarcatore infiammatorio Tgf-β, erano invece più elevati negli individui che si erano ammalati rispetto a quelli sani, ma solo nelle ragazze sintomatiche che poi avrebbero sviluppato sintomi Long Covid», aggiunge Petrella. «In particolare, il persistente aumento dei livelli sierici di Bdnf e Tgf-β era presente nelle adolescenti che presentavano sintomi respiratori durante la fase acuta dell’infezione», aggiunge.

Si aprono nuovi campi di indagine sugli effetti del Long Covid

Gli studi andranno approfonditi, allargando la ricerca a una coorte di adolescenti più ampia. «I dati dello studio supportano però già l’ipotesi che le variazioni sieriche di Ngf e Bdnf rappresentino un campanello d’allarme per l’effetto a lungo termine di Covid-19, aprendo nuovi campi di indagine sia nell’ambito degli effetti fisici sia in quelli psicologici potenzialmente associabili al NeuroCovid», conclude Fiore.

 

 



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