In Europa la variante predominante del batterio che causa la gonorrea, il gonococco, è resistente a uno dei farmaci più comunemente usati per il trattamento dell’infezione. A lanciare l’allarme è uno studio condotto dagli scienziati della Conselleria de Sanitat Universal i Salut Públic, della Fondazione per la promozione della salute e della ricerca biomedica della regione di Valencia (Fisabio), del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, e dell’Università di Oxford. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet Microbe.

L’azitromicina non funziona contro il batterio più diffuso

Ogni anno si stima che ci siano 82 milioni di casi di gonorrea in tutto il mondo. La gonorrea è una malattia sessualmente trasmissibile che può causare varie complicazioni. Secondo i ricercatori, la sorveglianza delle varianti più diffuse è è fondamentale per stabilire quali siano i trattamenti più efficaci a contrastare l’infezione e tutti i problemi sanitari ad essi associati. Per questo il team di ricerca, guidato dalla scienziata Leonor Sánchez-Busó, ha esaminato il lignaggio europeo più diffuso di Neisseria gonorrhoeae. «L’analisi genomica – afferma Sánchez-Busó – mostra l’espansione di una variante in Europa che riesce a resistere all’azitromicina, uno dei farmaci più comunemente utilizzati per il trattamento dell’infezione da gonococco».

Il batterio della gonorrea dominante risponde ad altri antibiotici

I ricercatori hanno sequenziato e analizzato il genoma del batterio della gonorrea raccolto da 2.375 campioni raccolti nel 2018 in 26 paesi. L’indagine ha permesso di stabilire i collegamenti tra i diversi lignaggi, la resistenza ai farmaci e le informazioni epidemiologiche. «La variante predominante in Europa – conferma Sánchez-Busó – sembra in grado di resistere all’azitromicina». Questo lignaggio predominante sembra avere un’associazione significativa con infezioni faringee nei gruppi a rischio. «Fortunatamente, nei campioni analizzati non abbiamo riscontrato mutazioni che potrebbero compromettere il trattamento con potenziali nuovi antibiotici, come zoliflodacina o geopotidacina», precisa la scienziata.

 



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