Hanno dovuto lottare contro difficoltà logistiche, dettate dalle difficili condizioni in cui hanno operato. Ma anche contro pregiudizi e disaffezione verso lo strumento del vaccino. È stato un intervento complesso ma vincente quello di INTERSOS per sostenere la vaccinazione contro il COVID-19 in zone di emergenza umanitaria.

L’organizzazione non governativa, in collaborazione con il Ministero della Salute e le autorità locali, ha costituito una task force a sostegno dell’iniziativa COVAX per garantire la vaccinazione anti Sars Cov 2 nei paesi in via di sviluppo e ha supportato la campagna vaccinale nello Stato del Borno, in Nigeria, e nel Sud dello Yemen, aree caratterizzate da guerra, violenza, povertà estrema e disastri naturali, e con un alto numero di persone bisognose di aiuto. Ma anche in Italia c’è stato un lavoro volto a raggiungere i più fragili, i senza fissa dimora, i migranti e tutti coloro che vivono ai margini delle nostre città.

Il lavoro di INTERSOS in Nigeria e Yemen

A due anni dall’avvio della campagna vaccinale, INTERSOS ha presentato un report presso l’Ospedale Santo Spirito a Roma con i risultati raggiunti che sono incoraggianti: nonostante la guerra in corso nello Stato del Borno tra agosto 2021 e febbraio 2023 sono state somministrate 382.637 dosi con 255.071 persone completamente vaccinate, 8% del totale dello Stato. In Yemen, i numeri assoluti sono ancora più ridotti, con 14.392 persone vaccinate nel Governatorato di Lahij a novembre 2022, ma INTERSOS ha contribuito in maniera significativa al difficile avvio della campagna vaccinale. In entrambi i contesti INTERSOS ha raggiunto oltre il 100% del target previsto.

«La campagna è andata molto bene – spiega a Sanità Informazione Andrea Accardi, coordinatore COVAX task force INTERSOS -. Sfatiamo un mito: COVAX ha funzionato benissimo. Soprattutto dalla fine del 2021 – inizio 2022, cioè da quando è stata istituita la partnership tra Unicef, Gavi e WHO, la campagna ha avuto un’accelerazione importante nei 34 paesi in cui ha operato. Sia in Yemen che in Nigeria siamo andati oltre il 100% del target».

L’evento al Santo Spirito, a cui hanno partecipato anche Kostas Moschochoritis, Direttore generale INTERSOS e Alice Wimmer, MPH Humanitarian Workstream Manager e Covid-19 Vaccine Delivery Partnership (WHO), è stata anche l’occasione per ripercorrere i risultati raggiunti e condividere le lezioni apprese e le raccomandazioni per il futuro della campagna vaccinale. «Abbiamo lavorato su quattro pilastri principali – spiega Accardi -. In primis il coinvolgimento attivo delle comunità locali, un lavoro di informazione ed educazione, la somministrazione dei vaccini e il supporto alla catena del freddo dovendo gestire prodotti con temperature complesse».

Accardi: «Cruciale rafforzamento sistemi sanitari»

Accardi sottolinea che non sono mancate le difficoltà: «Abbiamo avuto problemi relativi alla sicurezza del nostro personale: ad esempio in Nigeria abbiamo avuto problemi di movimento, ci siamo spostati anche attraverso cargo per muoverci da una parte all’altra del paese. Nella fase iniziale abbiamo avuto difficoltà di accesso ai lotti vaccinali e anche il flusso dei fondi dei finanziatori è stato molto a singhiozzo. Infine, il problema dell’infodemia e dell’esitazione vaccinale».

Grazie però a un lavoro paziente di coinvolgimento dei leader delle comunità e di volontari, le attività di informazione sull’efficacia e disponibilità del vaccino contro il COVID19 e di formazione di staff medico socio-sanitario e logistico sulla vaccinazione, l’afflusso ai centri vaccinali è progressivamente aumentato. Ma il lavoro ha puntato anche a rafforzare i sistemi sanitari locali in modo da metterli in condizione non solo di affrontare l’emergenza di oggi ma di creare pratiche comuni, conoscenza e consapevolezza anche per future emergenze.

«Abbiamo lavorato con sistemi sanitari fragili dove c’è difficoltà a formare risorse umane – conclude Accardi -. I programmi verticali vanno bene per rispondere a un’emergenza ma vanno integrati all’interno di altri servizi sanitari per non avere contrasti con altre esigenze di salute. L’integrazione con altri servizi di salute primari è essenziale e permette un impatto più di medio-lungo periodo».

Vella: «Non eravamo preparati a pandemia»

Stefano Vella, Docente di Salute Globale all’Università Cattolica di Roma, ha sottolineato tutte le difficoltà che si sono manifestate nella gestione del Covid: «Come ha riportato The Lancet la pandemia è stata gestita in modo catastrofico, ogni Paese è andato per conto suo e soprattutto nella prima fase è mancato coordinamento. Abbiamo vaccinato soprattutto il mondo ricco, molto meno il sud del mondo. Non eravamo preparati».

Prezioso anche il lavoro svolto da INTERSOS in Italia, dove non sono mancate le difficoltà, come ha raccontato Alessandro Verona, coordinatore medico Europa INTERSOS, che ha illustrato il lavoro indirizzato alla vaccinazione di alcune fasce di popolazione difficilmente raggiungibili come i migranti in attesa di regolarizzazione e le persone senza fissa dimora: «A Foggia siamo andati nelle baraccopoli, non era semplice spiegare alle persone l’importanza della vaccinazione. La disinformazione spopolava».

Le sei lezioni apprese da INTERSOS

Per INTERSOS sono sei le lezioni apprese durante la pandemia e su cui si deve lavorare: rafforzare i sistemi sanitari dei paesi più fragili, garantire la disponibilità di personale sanitario adeguatamente formato e l’accesso rapido, flessibile e lineare ai fondi internazionale per consentire agli attori sul campo di agire con tempestività ed efficacia. Ma anche investire in attività e strumenti di comunicazione e informazione capillare, partendo dal coinvolgimento delle comunità, raccogliere, gestire e condividere dati aggiornati e integrati e implementare un sistema di sorveglianza epidemica globale come elemento centrale di un’Agenda Globale per la Sicurezza Sanitaria.



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