La guerra in Ucraina, oltre ad aver sconvolto gli equilibri mondiali, ha portato alla necessità di varare una serie di misure eccezionali che hanno riguardato anche il mondo della sanità. Tutto contenuto nel cosiddetto Dl Ucraina (numero 21 del 2022) che prevede, tra le altre cose, la deroga alla disciplina del riconoscimento delle qualifiche professionali sanitarie, che dà la possibilità ai sanitari ucraini, ovvero gli operatori della salute residenti nel paese occupato prima del 24 febbraio, giorno dello scoppio della guerra, di esercitare temporaneamente le qualifiche sanitarie (medico e infermiere) o di operatore socio-sanitario sul territorio italiano, fino al 4 marzo 2023.

Il decreto prescrive che chi volesse e fosse munito di passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati, può farlo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche e private, con contratto a tempo determinato, co.co.co. oppure attraverso un incarico libero-professionale, grazie alla qualificazione conseguita all’estero e regolata da precise direttive dell’Ue. Le strutture sanitarie, si precisa nel decreto, “forniscono alle regioni e ai relativi ordini professionali, i nominativi dei professionisti sanitari reclutati”.

L’interrogazione di Leda Volpi (Alternativa) sui sanitari ucraini in Italia

Una misura che non convince Leda Volpi, medico e deputata di Alternativa, che ha presentato un’interrogazione al ministro della Salute Roberto Speranza chiedendo di chiarire alcuni punti poco chiari di questa misura.

«Scritto così è una grande confusione – spiega Volpi a Sanità Informazione -. Si dice che il personale sanitario dall’Ucraina può venire a lavorare per un anno in Italia in deroga al normale iter di riconoscimento dei titoli che è una garanzia che chi viene a lavorare in Italia abbia determinati requisiti, tra cui anche la conoscenza della lingua italiana. Come può, ad esempio, un infermiere o uno psicologo esercitare senza saper parlare italiano? Generalmente sono gli Ordini professionali che si occupano di certificare i titoli di studio, le competenze, mentre in Ucraina non c’è obbligo di iscrizione all’Ordine professionale».

Necessario sapere se il professionista ha una formazione adeguata

Volpi chiarisce il ragionamento con un esempio: «Perché dovremmo chiamare a lavorare in Italia un ingegnere dall’estero per costruire un ponte se non abbiamo la sicurezza del riconoscimento del suo titolo? Si parla di professioni molto sensibili e il nostro ordinamento prevede un certo iter per capire se questa persona ha una formazione adeguata. Se un medico italiano, anche con tante specializzazioni, vuole andare ad esercitare negli Stati Uniti non può, deve svolgere tanti esami. Può fare ricerca ma non può esercitare la professione medica. Stessa cosa accade da noi per i cittadini extra Ue. Derogare a questo percorso senza specificare in quale altro modo valutare i titoli è un grosso problema. Come fa una Asl a capire se quella persona effettivamente conosce bene l’italiano e quali competenze ha?».

Sanitari ucraini, serve circolare chiarificatrice

Volpi, che non ha ancora ricevuto risposta dal Ministero, invoca una circolare chiarificatrice che possa chiarire il quadro entro cui una Asl può muoversi. «Non si capisce neanche il razionale di questa norma. Normalmente, quando scoppia una guerra, il personale sanitario deve rimanere in patria e, anzi, si chiedono rinforzi. Il Bambin Gesù ha inviato dei pediatri in Ucraina per selezionare i bambini più gravi che hanno bisogno di cure e portarli in Italia. Questo ha più senso piuttosto che accogliere i sanitari in fuga dall’Ucraina. Non vorrei che poi questo personale venga usato nelle strutture private o nelle RSA dove c’è grande carenza con uno stipendio inferiore a quello dato a un italiano» conclude la deputata toscana.

I dubbi della FNOPI

Alcuni dubbi sono stati sollevati anche alcuni ordini professionali. Anche la FNOPI, la Federazione degli Ordini infermieristici, pur accogliendo nella sostanza lo spirito della norma, ha voluto chiarire che tutto ciò non può trasformarsi in una sanatoria e ha chiesto che per una eventuale stabilizzazione è indispensabile verificare la qualità della formazione di chiunque provenga dall’estero e comunque da una formazione diversa da quella garantita in Italia.

 



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