Durante la pandemia è diventato un punto di riferimento fisso in televisione per gli italiani spaventati e preoccupati dal Covid. E con l’esperimento di Vo’ Euganeo ha dato un contributo decisivo nel capire il ruolo degli asintomatici nella diffusione di questa malattia. Andrea Crisanti oggi ha messo da parte i panni di microbiologo e professore universitario per vestire quelli di senatore, eletto nelle file del Partito democratico nella circoscrizione Europa.

Il neo senatore dem, a sorpresa, non sarà nella commissione Sanità di Palazzo Madama ma in quella Cultura, Istruzione e Università. «È più vicina alla mia esperienza culturale, dato che ho svolto carriera universitaria sia in Italia che in Inghilterra» spiega a Sanità Informazione.

Difficilmente, però rinuncerà a dire la sua sui temi di attualità sanitaria. Come sulla commissione d’inchiesta riguardo la gestione del Covid, su cui la maggioranza sembra intenzionata a procedere: «Che sia benvenuta così si vedrà che il disastro che la Meloni attribuisce all’esecutivo di allora è direttamente legato alla guerriglia che le regioni hanno fatto a tutti i provvedimenti del governo». Poi si dice contrario all’abolizione del numero chiuso alla facoltà di Medicina, preferendo piuttosto un «allargamento dell’offerta formativa». E infine individua il tetto salariale come uno dei principali problemi alla valorizzazione della professione medica, soprattutto in alcune branche come la medicina d’urgenza: «Nessuno dopo 15 anni di studio vuole guadagnare 3mila euro al mese per farsi notti e notti di lavoro una appresso all’altra rischiando anche di essere aggredito».

Senatore, che effetto le fa passare dalle aule universitarie alla politica?

«Sono ancora in fase di adattamento. La cosa che più noto è che dichiarazioni che prima erano esclusivamente tecniche adesso hanno un valore politico-sociale. Devo anche cercare di analizzarne l’impatto prima di parlarne. Questa è una fase ancora di apprendimento».

Pensa che la sua professione possa essere d’aiuto nel lavoro parlamentare?

«Più che la professione medica l’attitudine scientifica, la metodologia di avanzare problemi e capirne le cause. Le faccio un esempio banale: un collega si lamentava perché era stato criticato da un giornale perché aveva fatto un errore grammaticale. Io gli ho detto: “Avresti dovuto rispondere che gli errori grammaticali sono importanti perché altrimenti la lingua non evolverebbe”. È un modo diverso di analizzare le cose».

Parliamo della commissione d’inchiesta sul Covid. La maggioranza sembra intenzionata a vararla, pensa sia utile?

«Nessuno deve avere paura della commissione d’inchiesta. Che sia benvenuta così si vedrà che il disastro che la Meloni attribuisce all’esecutivo di allora è direttamente legato alla guerriglia che le regioni hanno fatto a tutti i provvedimenti del governo».

Fratelli d’Italia però sottolinea che l’Italia ha il tasso di mortalità tra i più elevati nonostante le misure restrittive…

«Al tasso di mortalità italiano il contributo più grande lo ha dato la Lombardia durante la prima ondata e la Lombardia è amministrata proprio dal centrodestra. La critica va rimandata al mittente. Dovrebbero farsi un’analisi di coscienza su come hanno gestito la pandemia e su come hanno ridotto il sistema sanitario lombardo. La seconda ondata ha fatto 80mila morti, ma aveva delle misure annacquate. Il Veneto, tanto per fare un esempio sul quale ho un po’ di dimestichezza, ha fatto di tutto per rimanere in zona gialla durante la seconda ondata e ha fatto 7/8 volte i morti della prima ondata. Se fai una politica di contenimento del virus diminuisci i casi, se tu cerchi di rimanere ad ogni costo in zona gialla fai il disastro».

Con Zaia si è riappacificato?

«Assolutamente no. Ad un certo punto se si agisce per motivazioni ideologiche e non tecniche bisogna assumersi la responsabilità».

Parliamo di professione medica. I medici italiani sono i meno pagati d’Europa e molti vanno all’estero o nel privato. Cosa fare?

«La sanità italiana ha problemi sia strutturali che di gestione. Sul lato degli investimenti dal 2008 sono stati fatti tagli da dieci miliardi all’anno, mancano all’appello 230-240 miliardi, una cifra enorme. Il PNRR quasi è una inezia rispetto a queste cifre. Poi c’è il tetto salariale, altra follia: prendiamo il caso della medicina d’urgenza, non la vuole fare più nessuno. Lei farebbe 15 anni di studio per arrivare a guadagnare 3mila euro al mese e farsi notti e notti di lavoro una dietro l’altra rischiando anche di essere aggredito? E il medico di medicina d’urgenza, come gli altri ospedalieri, non può fare attività privata. Va aumentato lo stipendio altrimenti non li troveremo. Il problema della medicina d’urgenza mette in risalto anche un’altra questione del sistema sanitario italiano che riguarda i pediatri di libera scelta e i medici di medicina generale. In alcune regioni d’Italia c’è il 70-75% di codici verdi e codici bianchi al pronto soccorso. Tutte persone che dovrebbero essere viste prima dal MMG. C’è troppa disparità tra questi medici e il medico dell’urgenza, bisogna cambiare».

Si parla con sempre più insistenza di abolizione del numero chiuso, che ne pensa?

«L’abolizione è una misura demagogica. Il problema è che l’impatto dell’abolizione del numero chiuso si avrà tra sei anni. Aumentiamo piuttosto i posti di specializzazione, una misura che invece avrà un impatto tra tre anni. Se lei abolisce il numero chiuso, l’offerta formativa dell’università non è in grado di gestire il triplo o il quadruplo delle iscrizioni. Quello che si può fare è aumentare gradualmente l’offerta formativa, ma senza l’abolizione totale del numero programmato».

Che altra misura andrebbe presa per risollevare la sanità?

«Mi faccia dire che bisogna essere più flessibili sull’età pensionistica. Perché ogni medico che va in pensione lo regaliamo al sistema privato. Anche nella mia azienda sanitaria di Padova sono andati in pensione colleghi che erano al top della loro carriera e professionalità. Abbiamo perso delle eccellenze e le abbiamo regalate al privato».

Sarà in commissione Sanità qui in Senato?

«In realtà no, io sono anche un educatore e un ricercatore. Sarò in commissione Cultura e Università. È più vicina alla mia esperienza culturale, dato che ho svolto carriera universitaria sia in Italia che in Inghilterra».

 



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