Fumare una sigaretta è spesso considerato un gesto innocuo, ma i dati scientifici rivelano una realtà ben diversa. Secondo uno studio dell’University College di Londra, ogni sigaretta accorcia la vita di circa venti minuti per i fumatori a lungo termine. Questa scoperta ha riacceso l’interesse sulle conseguenze del tabagismo, il cui consumo ha origini antiche nelle civiltà precolombiane dell’America, dove il tabacco era utilizzato in cerimonie religiose.
Dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492, il tabacco venne introdotto in Europa, inizialmente come pianta medicinale. In poco tempo, la sua diffusione tra le classi aristocratiche e nelle corti reali innescò una vera e propria moda. Nel XVII secolo, il tabacco era diventato un prodotto di massa, coltivato nelle colonie e venduto in tutto il mondo. Il XI secolo segnò l’industrializzazione della produzione di sigarette, rendendo il fumo accessibile a un pubblico vasto, proliferando grazie a potenti multinazionali.
Nonostante i primi avvertimenti della comunità scientifica, il consumo di sigarette continuò a crescere fino agli anni ’50, quando emersero studi rivelatori sul legame tra fumo e malattie letali come il cancro ai polmoni e le malattie cardiovascolari. Le sostanze chimiche presenti nel fumo di sigaretta sono estremamente dannose: oltre settemila sostanze, di cui almeno settanta sono cancerogene. La nicotina, il catrame e il monossido di carbonio sono tra i composti più pericolosi, i quali aumentano il rischio di malattie gravi e compromettono la salute generale.
Il recente studio dell’UCL ha messo in evidenza la perdita di vita associata al fumo, con gli uomini che perdono in media 17 minuti e le donne 22 minuti per ogni sigaretta. I risultati derivano da studi epidemiologici dettagliati, sottolineando come i danni siano cumulativi. Tuttavia, smettere di fumare porta significativi benefici: anche brevi periodi senza fumo possono aumentare la longevità e abbattere il rischio di malattie. Smettere a 40 anni riduce del 90% il rischio di morte per patologie correlate, mentre anche nei soggetti più anziani miglioramenti nella qualità della vita sono possibili, con una riduzione delle malattie cardiovascolari e respiratorie.