Alla luce del nuovo decreto legge sui ‘Paesi sicuri’, il tribunale di Bologna ha deciso di rinviare alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione riguardante i criteri di sicurezza necessari per designare un Paese terzo come Paese di origine sicuro. Questo rinvio è stato giustificato dal tribunale come una necessità di chiarire quale debba essere il parametro per valutare le condizioni di sicurezza.
Inoltre, il tribunale ha chiesto alla Corte europea se esista un obbligo per i giudici nazionali di non applicare normative nazionali in contrasto con la direttiva 32/2013, che regola le procedure relative al riconoscimento e alla revoca dello status di protezione.
Le reazioni alla decisione del tribunale sono state diverse. Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha espresso sorpresa per il rinvio, confermando la convinzione del suo partito che sia lo Stato a determinare quali nazioni siano da considerare sicure, pur riconoscendo il diritto del giudice di valutare la situazione specifica di ciascun richiedente asilo. Ha sottolineato che il decreto tiene conto della protezione dei diritti umani.
Al contrario, Rosario Coco, presidente di Gaynet, ha accolto positivamente il rinvio, richiamando l’attenzione sul fatto che molti dei Paesi considerati ‘sicuri’ perseguitano l’omosessualità o hanno leggi contro le persone trans. Coco ha evidenziato come il decreto, a suo avviso, non consideri adeguatamente la situazione di tutte le minoranze presenti nei Paesi designati, paragonando la situazione attuale alla Germania nazista, dove solo una parte della popolazione godeva effettivamente di sicurezza.
Coco ha chiesto al Governo di modificare il decreto, sostenendo la necessità di rivedere le procedure di richiesta d’asilo per allinearle all’articolo 19 del Testo Unico sull’Immigrazione, che vieta il rimpatrio di qualsiasi persona a rischio di persecuzione. La questione rimane aperta e il decreto sui ‘Paesi sicuri’ è al centro di un acceso dibattito giuridico e politico.