Il suicidio della tiktoker Alexandra Garufi mette in luce la responsabilità culturale legata alla discriminazione nei confronti delle persone transgender e alla mancanza di supporto sociale. Un’indagine della National LGBTQ Task Force ha rivelato che oltre il 40% delle persone transgender ha tentato il suicidio almeno una volta, un tasso significativamente più alto rispetto alla media. Queste tragedie non derivano dall’identità di genere, ma dalla violenza, discriminazione e negazione dei diritti che queste persone subiscono.
Il percorso di transizione di genere rappresenta una riaffermazione dell’identità personale, ma richiede accettazione sociale e familiare. A livello legislativo, in molti paesi sono stati fatti progressi, come la possibilità di modificare legalmente il proprio genere, ma la lotta per l’uguaglianza continua. Negli Stati Uniti, un ordine esecutivo firmato da Donald Trump ha vietato alle atlete transgender di competere nelle gare femminili, suscitando forte opposizione da parte dei movimenti LGBT+.
La storia della transizione di genere ha radici in molte culture antiche dove la fluidità di genere era accettata. Il XX secolo ha visto l’emergere del movimento transgender e un aumento della comprensione medica dell’identità di genere. Nel 2018, l’OMS ha rimosso la disforia di genere dalla classificazione delle malattie mentali, rappresentando un passo avanti contro lo stigma.
Tuttavia, le persone transgender continuano a essere oggetto di discriminazione. L’uso del capro espiatorio, in particolare nei discorsi conservatori, alimenta l’intolleranza e distoglie l’attenzione dai veri problemi sociali. In questo contesto, le minoranze vengono spesso individuate come cause dei mali sociali, aumentando la polarizzazione e minando la coesione sociale.