“Lui ha vissuto, vive e vivrà sempre in noi e con noi.” Con queste parole, Salvo Riina, il terzogenito di Totò Riina, capo dei capi della mafia siciliana, ha reso omaggio al padre, morto in carcere a Parma il 17 novembre 2017. Il suo post su Instagram ha suscitato un notevole interesse, raccogliendo oltre 430 “Mi piace” e numerosi commenti. Alcuni utenti hanno elogiato Riina definendolo un “grande uomo” con solidi valori familiari, e altri hanno sottolineato l’importanza del rispetto che ogni figlio deve al proprio padre, indipendentemente dalle sue azioni.
Lo stesso messaggio è stato condiviso anche sulla pagina Facebook di Riina, dove ha ottenuto più di 600 “Mi piace” e oltre 160 commenti. Tuttavia, nonostante il tributo affettuoso da parte di alcuni, sono emerse anche voci critiche. La presidente della Commissione antimafia, Chiara Colosimo, ha espresso una netta condanna nei confronti di Riina, dichiarando che “lo Stato ha vinto, Riina ha perso”. Ha descritto Riina come un uomo contraddistinto da violenza e malvagità, sottolineando che il suo operato ha lasciato un segno indelebile di sangue e sofferenza.
Colosimo ha ribadito che nessun sentimento di nostalgia potrà mai cancellare le atrocità commesse da Riina, affermando che “Totò è stato battuto” e che la sua figura è rimasta legata all’immagine di un uomo in fuga, solo e perseguitato, che alla fine ha dovuto arrendersi alle forze dell’ordine. La distanza tra i tributi affettivi da parte della famiglia di Riina e le dure realtà dei suoi crimini evidenzia la complessità della memoria e della percezione pubblica della mafia.
Questa contrapposizione mette in risalto come la figura di Riina non possa essere ridotta a un singolo racconto, ma rappresenta un simbolo di lotta tra la legalità e l’illegalità, tra il rispetto filiale e la condanna delle azioni violente. In questo senso, la sua eredità rimane controversa e suscita opinioni contrastanti, riflettendo le profonde ferite lasciate dalla mafia nella società italiana.