Delfini: “‘In alcuni episodi violenza efferata e nessuna empatia con vittime dopo reato”
”Nel 2022, rispetto all’anno precedente, abbiamo registrato un aumento sia della percentuale di segnalazioni di reati commessi da minori sia un aumento, non particolarmente rilevante ma significativo, dei reati che denotano violenza, come percosse, lesioni, rissa. In misura minore aumentano anche furti e rapine”. Lo sottolinea all’Adnkronos Stefano Delfini, direttore del Servizio Analisi Criminale, organismo interforze del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, parlando del fenomeno delle teen gang. ”Abbiamo un totale di segnalazioni di minori in aumento nel 2022 rispetto agli anni precedenti, ovviamente il 2020 è stato un anno caratterizzato da una limitazione della mobilità fisica e ha portato una diminuzione ma la crescita nel 2022 è superiore anche al dato del 2019”, precisa.
Lo scorso anno il Servizio Analisi Criminale ha realizzato, in collaborazione con il centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica e con il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, il primo report di monitoraggio a livello nazionale sul tema delle ‘gang giovanili’. ”Stiamo trattando il tema dei minori dalla pandemia perché in quel momento si è cominciato a intravedere qualche segnale di disagio ulteriore – spiega – Ora stiamo predisponendo un nuovo lavoro che contiamo di terminare entro la fine di ottobre”.
”In questo nuovo report abbiamo fatto un approfondimento, siamo passati dai numeri alle persone”, chiarisce. ”Abbiamo voluto vedere che cosa accade nel momento in cui i minori vengono consegnati al circuito della giustizia, cercando di approfondire cosa accade dopo, abbiamo avuto occasione di parlare anche con alcuni ragazzi reclusi negli istituti per minori per cercare di capire chi sono, da dove vengono, ponendoci delle domande – continua – E’ stato un caso? E’ l’ambiente che li ha condizionati, che aspettative hanno dalla società e dalla vita? Qual è il loro rapporto con Dio, con il denaro e con la famiglia?”.
Uno studio che potesse fornire un quadro per mettere a punto una strategia non solo repressiva ma soprattutto di prevenzione. ”L’azione preventiva è quella di favorire la diffusione di modelli diversi a questi ragazzi, di offrire alternative alla strada – sottolinea – Spesso questi giovani passano tante ore della loro vita ‘abbandonati a se stessi’ perché le famiglie lavorano o non hanno le possibilità e hanno difficoltà a seguirli. Le alternative possono essere le palestre, i centri di aggregazione, la cultura, imparare a suonare uno strumento, e possono aiutare a diminuire queste sacche di disagio che purtroppo esistono”.
Il fenomeno delle bande giovanili non si presenta allo stesso modo in tutto nelle diverse zone d’Italia. ”Ci sono realtà diverse: quartieri degradati, ambienti non favorevoli – spiega Delfini – al sud i modelli da emulare sono più quelli delle organizzazioni criminali mentre nelle città del nord del Paese ci sono gruppi multietnici e ‘nuovi cittadini’ figli di stranieri che hanno difficoltà anche a riconoscersi in questo modello di società”.
”Nei singoli episodi assistiamo a volte a una violenza efferata, gratuita e immotivata – nota il direttore del Servizio Analisi Criminale – Certo la violenza non è mai motivata ma talvolta c’è un uso smodato della violenza, anche nei casi di violenza sessuale, e una assoluta mancanza di empatia con la vittima, quindi anche una incapacità a relazionarsi con il prossimo e con i pari”.
”Pensiamo alla frase pronunciata da uno degli autori delle violenze sessuali di Palermo ‘mi sono rovinato la vita’, nessun pensiero è stato dedicato alla vittima, si è concentrati esclusivamente su se stessi”, prosegue.
”Un altro fattore che è emerso da questo approfondimento e che continua a essere molto rilevante in queste dinamiche è anche l’utilizzo della rete e dei social, con il pericolo di emulazione, e una mancanza di educazione all’uso della rete e di consapevolezza dei rischi e delle possibili conseguenze – dice Delfini – Anche qui bisognerebbe fare qualche riflessione, in particolare rispetto ai modelli che circolano sulla rete ai quali i ragazzi spesso si ispirano e che molto difficilmente sono modelli realmente positivi. Pensiamo a tanti artisti trap che inneggiano al mancato rispetto delle forze di polizia o delle istituzioni, o che si fanno vedere mentre inneggiano all’uso di sostanze stupefacenti o con mazzette di banconote. Sono modelli che non aiutano chi non ha una maturità tale da riuscire a distinguere quello che è virtuale, anche se ormai non si parla più di online e offline ma di ‘onlife’, dove finisce il fisico comincia il virtuale, non esiste più un confine netto”.
(di Giorgia Sodaro)