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Teatro: a Roma va in scena il 'Delirio SinFONico' di Francesco Berrafato


Uno spettacolo, conferenza, concerto che rivisita in chiave ironica – e solo all’apparenza leggera – le tesi femministe degli Anni ’70 sul suono della voce della madre. “La Voce è donna e la Parola è maschio”: su questa differenza gioca Delirio SinFONico, lo spettacolo messo in scena da Francesco Berrafato, il 25 febbraio al Teatro Albertino di Roma, rappresentato dalla ‘strana coppia’ formata da un filosofo-musicista (interpretato dallo stesso Berrafato) e un fon. Dopo una discussione di laurea finita male, i due si presentano alla platea per difendere una tesi estrosa e accattivante che mette in crisi la cultura del patriarcato: LUI, il fon, in realtà è una LEI.

Non è un semplice asciugacapelli, è la Voce, il ricordo della voce prima che si faccia parola, un suono puro, proprio come il brusio del fon, un gorgheggio, un’intonazione, quella con cui, appena nati, ognuno di noi comunica con la propria madre. E per questa ragione riesce ad arrivare molto più in profondità. La rappresentazione della Voce è affidata a una presenza in carne e ossa, quella di Giulia Grassi, fuori dallo spazio e dal tempo del racconto, ma, allo stesso tempo, in costante contatto con essi. La Voce è femmina, emozione, libertà ed estro, mentre la Parola – che spiega, definisce e ingabbia – è maschio, frutto di una cultura declinata per secoli da uomini. Tornare alla Voce, al suono originario è la strada per uscire dal patriarcato.

Una tesi suffragata, come sostiene la singolare coppia, da dati statistici e scientifici inequivocabili. Il suono del fon su Youtube ha più ascolti delle canzoni dei Maneskin. Il pubblico in sala è chiamato a raccontare il proprio personale rapporto con il fon e così si scopre che i ‘fon-dipendenti’ sono molti più di quanto si possa immaginare, perché il fon è un’amica, una confidente a cui dire ciò che le parole non riescono a dire. Il suo suono addormenta i bambini, elimina l’ansia, cura l’acufene. Il suo calore ci fa star bene, ci riporta al duetto originario con la madre, alla femminilità che è in tutti noi, taciuta dalla rigidità delle parole quotidiane. In una scenografia fatta di rotoli di carta igienica, simbolo dell’inutilità della parola, il pubblico è accompagnato dal brusio costante del fon, dalla musica dell’organetto di Francesco Berrafato e dal canto di Giulia Grassi. L’appuntamento è al Teatro Albertino il prossimo 25 febbraio alle 18.30.

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