Chi fugge dalla guerra porta con sé tutti gli orrori, le violenze, le sofferenze e le privazioni propri di ogni conflitto. Uno shock emotivo che richiede il supporto e l’intervento di psicologi appositamente formati per questo tipo di situazioni. A Roma ha aperto un centro specializzato proprio sulla ‘psicologia dell’emergenza’. Si tratta del Centro di assistenza per l’emergenza Ucraina creato dal Centro Alfredo Rampi, associazione nata nel 1981 in seguito al tragico evento di Vermicino in cui il piccolo Alfredino perse la vita, una vicenda che scosse l’Italia in quel lontano 1981.

L’equipe del centro di assistenza è formata da psicologi dell’emergenza, mediatori culturali di madre lingua ucraina, psicologi ucraini, educatori professionali e volontari della Protezione Civile che offrono assistenza psicologica, materiale e logistica in particolare a mamme e bambini profughi ma anche supporto psicologico specialistico per bambini, ragazzi e adulti, assistenza alle famiglie ucraine residenti in Italia o a famiglie italiane e associazioni che ospitano bambini e mamme profughi.

Grano (Centro A. Rampi): «In aumento richieste di sostegno psicologico»

«Siamo stati in prima linea per tutto il periodo del Covid, essendo riconosciuti a livello locale e nazionale – spiega Michele Grano, presidente del PSICAR (Psicologi delle Emergenze Alfredo Rampi) -. In autonomia abbiamo creato questo centro di assistenza psicosociale gestito dal centro Alfredo Rampi in rete con gli psicologi dell’emergenza Rampi e con il Nucleo operativo Alfredo Rampi. Nella prima fase abbiamo ricevuto richieste di natura più pratica e materiale, richieste di prese in carico dal SSN o di accompagnamento. Ma negli ultimi giorni sta aumentando la richiesta psicologica».

La stragrande maggioranza di profughi è rappresentata da donne e bambini, che portano ancora vivo il trauma delle bombe e della fuga. «Da poco – racconta Grano – abbiamo fatto un incontro con l’esarcato ucraino, il referente della chiesa cattolica di rito bizantino che sta raccogliendo intorno a sé tutti quelli che stanno arrivando in Italia. In questa prima fase chi arriva tende molto di più a rivolgersi a persone ucraine, sia professionisti che persone della rete ecclesiale. Spesso si illudono che tutto possa finire presto. Abbiamo incontrato dei bambini che immaginano di poter tornare molto presto. Una bambina di nove anni sperava di poter tornare i primi di maggio per il compleanno del papà, rimasto a combattere. È un meccanismo psicologico di spostamento, di rimozione che è del tutto sano».

Anche le richieste di aiuto sono cambiate

A due mesi dallo scoppio del conflitto, cambiano anche le richieste di aiuto. E oggi aumenta sempre di più la necessità di un sostegno psicologico. «Negli ultimi giorni – racconta Grano – sta aumentando la richiesta di supporto psicologico, quindi situazioni in cui bambini e madri portano questi vissuti. Quello che si fa è un lavoro di accoglienza. Ci sono delle figure di aiuto come i mediatori culturali che ci permettono di entrare a contatto con una realtà molto diversa dalla nostra. Ci sono vissuti che sono estremamente angoscianti. Con i bambini si utilizza soprattutto la modalità ludica. Si aiuta a tirare fuori in maniera mediata la propria angoscia, non si può entrare in maniera troppo diretta. Abbiamo, tuttavia, anche una rete di psicoterapeuti che si sono dati disponibili per una presa in carico più a lungo termine».

L’aiuto avviene in un primo momento a livello telefonico. Non chiamano le persone direttamente coinvolte, ma familiari, amici o associazioni di prima accoglienza. Oltre agli psicologici c’è una rete di altri volontari: quelli della protezione civile che garantiscono altri servizi di accompagnamento e di provvista di beni. E poi l’assistenza sanitaria, garantita dalle Misericordie. Infine, la rete degli psicanalisti romani, in tutto una quarantina.

La psicologia dell’emergenza

«Uno dei grossi filoni in memoria di Alfredino Rampi è proprio la nascita di questa specializzazione della psicologia dell’emergenza – conclude Grano -. La missione principale è la prevenzione dei rischi. Si lavora con i ragazzi per l’autoprotezione dai rischi e poi c’è tutta la costola che riguarda il soccorso, sia quello materiale logistico durante l’emergenza sia quello di psicologi. Ora speriamo di poter creare dei piccoli spazi di laboratori artistici ed espressivi: laddove la parola non riesce ad arrivare è molto utile».

 

 

 



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