La settimana lavorativa di quattro giorni suscita un dibattito crescente, vista da alcuni come un’idea innovativa e da altri come un lusso inaccettabile. In Italia, si discute se lavorare meno equivalga a produrre meno, ma esperienze europee indicano il contrario. Ridurre le ore di lavoro può in realtà migliorare il benessere, la motivazione e la produttività.
Affrontare il tema della produttività richiede un cambiamento di prospettiva: è importante non misurare solo le ore lavorate, ma concentrarsi su efficienza, risultati e organizzazione del lavoro. Questo implica ottimizzare i processi, eliminare attività superflue e adottare l’intelligenza artificiale, misurando il contributo dei dipendenti in base agli obiettivi raggiunti. Lavorare meno può portare a scelte più consapevoli e a una maggiore concentrazione su ciò che crea valore. Un esempio è Microsoft Giappone, che ha registrato un aumento della produttività del 40% dopo aver ridotto l’orario lavorativo.
A livello internazionale, paesi come Spagna, Regno Unito, Islanda e Giappone hanno sperimentato la settimana corta, evidenziando un aumento della produttività e un miglioramento del benessere. A Valencia, un programma pilota ha mostrato un miglioramento della salute e dell’umore dei dipendenti, portando il governo spagnolo a considerare una riduzione dell’orario di lavoro.
In Italia, la settimana corta è ancora una scelta aziendale, senza una legge che la regoli. Tuttavia, aziende come Carter & Benson e Intesa Sanpaolo hanno già adottato modelli di lavoro a quattro giorni con risultati positivi. Anche Lamborghini ha testato la flessibilità, alternando settimane di lavoro, e la SIAE ha introdotto un formato misto che preserva i salari.
Il dibattito va oltre la semplice riduzione delle ore: si tratta di un cambiamento culturale e organizzativo, incentrato sul benessere e l’efficacia. La settimana corta offre l’opportunità di lavorare meglio, sfidando schemi tradizionali e mirando a un futuro più sostenibile e umano nel mondo del lavoro.
