Il recente disegno di legge sull’ordinamento della giustizia è stato approvato senza rispettare né lo spirito né la lettera della Costituzione italiana. Per la prima volta nella storia, i quattro passaggi parlamentari non hanno consentito un’autentica discussione tra i parlamentari, che hanno votato sotto il vincolo di partito senza esercitare il loro diritto di mandato.
Il testo finale approvato è identico a quello presentato dal Consiglio dei ministri, senza alcuna modifica durante i passaggi in Parlamento. L’opposizione, consapevole dell’impossibilità di emendare il testo, ha adottato una strategia di ostruzionismo, mentre la maggioranza non ha ritenuto necessario giustificare la propria posizione. Anche proposte considerate migliorative da parte della maggioranza sono state ignorate, portando i proponenti a ritirare i loro emendamenti. Le opinioni divergenti di alcuni parlamentari sono emerse solo tramite dichiarazioni ai media, come nel caso del senatore Pera, che ha votato per rispetto nei confronti della presidente del Consiglio.
L’approvazione di una riforma così significativa è avvenuta senza un vero confronto in aula. Le procedure di revisione costituzionale richiedono consenso e discussione approfondita, ma, in questo caso, il testo è stato trattato come un decreto-legge, rendendolo praticamente intoccabile. La norma prevista dall’articolo 138 della Costituzione, che impone una doppia lettura e una maggioranza qualificata, è stata elusa.
Resta in gioco la possibilità di un referendum, necessario per ottenere il consenso popolare, ma anche questo strumento potrebbe essere manovrato per favorire il governo. In assenza di richiesta di referendum, la legge entra automaticamente in vigore, evidenziando il pericolo di una revisione costituzionale che ignora equilibri fondamentali. L’attenzione deve ora tornare sulla necessità di un dialogo critico riguardo a queste riforme, per garantire il corretto funzionamento della giustizia e il rispetto della Costituzione.
