Il 28 giugno, durante il giorno del Vidovdan, a Belgrado si è svolta una grande protesta, che ha segnato il culmine di mesi di insoddisfazione sociale nei confronti del governo e dei problemi sistemici. Questa festività ha un significato profondo nella memoria collettiva serba e, quest’anno, studenti e cittadini hanno scelto di utilizzarla per chiedere un cambio nella governance, elezioni anticipate e riforme istituzionali.
La partecipazione è stata massiccia, con stime che parlano di circa 140.000 persone, rendendo l’evento uno dei più significativi del decennio. I manifestanti hanno espresso richieste chiare: lotta alla corruzione, responsabilità delle istituzioni e democratizzazione del sistema. Tuttavia, i media filogovernativi hanno descritto la protesta in termini opposti, diffondendo narrazioni sensazionalistiche che delegittimano i manifestanti e li presentano come una minaccia alla stabilità del Paese.
Questa strategia di criminalizzazione, tipica dei regimi autoritari, ha giustificato un uso eccessivo della forza da parte delle autorità. Nonostante la maggior parte della manifestazione sia stata pacifica, i pochi incidenti sono avvenuti dopo l’intervento della polizia, creando una discrepanza tra la narrazione mediatica e la realtà dei fatti.
Inoltre, i media hanno iniziato a collegare le proteste con fittizi nemici stranieri, in particolare citando la Croazia, per instillare paura e giustificare la repressione. Accuse infondate di cospirazione sono state usate per screditare le istanze dei manifestanti e deviare l’attenzione dai problemi interni, come il fallimento istituzionale e la corruzione. Queste pratiche minacciano seriamente i fondamenti della democrazia e la libertà di espressione in Serbia.