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Oltre 217mila bebè in Italia 'figli' della fecondazione assistita


Compie 20 anni la legge 40, che regola il ricorso alla provetta nel nostro Paese. Dal 2004 sono raddoppiati il numero dei trattamenti e le gravidanze ottenute

Oltre 217mila bebè in Italia 'figli' della fecondazione assistita

Oltre 217mila bambini sono nati, in Italia, con le tecniche di fecondazione assistita. Quasi quanto la popolazione di Messina o Padova. Dall’approvazione della legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma), arrivata al traguardo dei 20 anni, il numero dei trattamenti effettuati ogni anno è raddoppiato, così come i tassi di gravidanza. E sono aumentate fortemente anche le procedure che utilizzano embrioni crioconservati. Sono alcuni dei dati raccolti dal Registro nazionale della Pma, istituito proprio dalla legge 40 all’Istituto superiore di sanità e che ha iniziato la propria attività nel 2005.

Ecco i principali dati, resi noti in vista del ventesimo anniversario dell’approvazione della legge, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 19 febbraio. L’attività di Pma è aumentata di quasi 2 volte, dai 63.585 trattamenti del 2005 ai 109.755 del 2022. E la percentuale di bambini nati vivi sulla popolazione generale, che nel 2005 era dell’1,22%, nel 2022 è arrivata al 4,25%. Il registro ha ottenuto informazioni relative a 217.275 bambini nati vivi a seguito dell’applicazione delle tecniche di Pma. L’età media delle donne che si sottopongono a cicli di fecondazione assistita è passata da 34 anni nel 2005 a 37 anni nel 2022 (in Europa nel 2019 era 35 anni). Le over 40, che erano il 20,7% nel 2005, sono aumentate al 33,9% nel 2022 (in Europa nel 2019 erano il 21,9%). Il numero medio di embrioni trasferiti in utero è passato da 2,3 nel 2005 a 1,3 nel 2022. La percentuale di parti multipli – all’inizio la nascita di gemelli era molto spesso sinonimo di ricorso alla Pma – è scesa dal 23,2% del 2005 al 5,9% del 2022.

E ancora, le procedure che prevedono l’utilizzo di embrioni crioconservati sono aumentate da 1.338 nel 2005, pari al 3,6% delle procedure, a quasi 30mila (29.890) nel 2022, pari al 31,1%, simile al valore medio europeo del 2019 (ultimo dato disponibile) che era del 31,2%. Anche il relativo tasso di gravidanza ogni 100 trasferimenti eseguiti è cresciuto, passando dal 16,3% del 2005 al 32,9% del 2022. Le tecniche di Pma che utilizzano gameti donati sono aumentate da 246 cicli nel 2014, pari allo 0,3%, a 15.131 cicli nel 2022, pari al 13,8%.

L’appello. “La legge è stata modificata da diversi pronunciamenti della Corte costituzionale, però il suo impianto originario è rimasto”, spiega all’Adnkronos Salute Paola Anserini, presidente della Società italiana di fertilità e sterilità e di medicina della riproduzione (Sifes-Mr). Un impianto che contribuisce a rendere “un po’ difficile la risoluzione di alcuni problemi”. Per l’esperta, due su tutti: il destino dei cosiddetti embrioni orfani e gli ostacoli alla fecondazione eterologa, quella con gameti esterni alla coppia. “Problemi reali” sui quali i medici lanciano un appello alla politica. “Possono essere risolti, o almeno avviati alla risoluzione, a prescindere dal colore politico del Governo”, sostiene Anserini.

“Oggi – ricorda la specialista, a capo dell’Uos di Fisiopatologia della riproduzione umana dell’Irccs ospedale policlinico San Martino di Genova – gli embrioni congelati che non vengono utilizzati non possono avere alcun altro destino se non quello di essere trasferiti nell’utero della madre”, la donna dalla quale sono stati generati. E se “alcuni non sono propriamente abbandonati, ma solo in attesa di essere impiantati” nel grembo materno, “altri non vengono più reclamati”. Orfani a tutti gli effetti. Quanti sono? Alcune stime parlano di decine di migliaia, ma Anserini precisa che “il dato non si può stimare”, anche perché appunto “solo una parte” degli embrioni congelati si possono considerare abbandonati. In ogni caso “sono molti. L’ultimo censimento ufficiale risale a una decina di anni fa – sottolinea l’esperta – poi non è più stato fatto, non c’è mai più stata la volontà di definire per questi embrioni un destino diverso da quello di tenerli dove sono”.

“Certamente bisognerebbe partire da lì”, dal contarli, auspica la presidente Sifes-Mr. Dopo di che “dovrebbero poter essere messi a disposizione di altre coppie con problemi di infertilità, come peraltro era già stato previsto diversi anni fa da una proposta di legge di Antonio Palagiano. Un progetto molto semplice e snello”. Concretizzarlo “aiuterebbe anche a una maggiore responsabilizzazione nei confronti di questi embrioni – ragiona la specialista – perché in questo modo i genitori saprebbero che se li abbandonano verranno comunque messi a disposizione di altri”. Per Anserini, poi, “un’altra grande criticità riguarda l’eterologa”. Il nodo principale è che “oggi in Italia l’ovodonazione funziona solo ed esclusivamente con l’acquisto di gameti dall’estero. Decisamente serve un piano B”, ossia “promuovere la preservazione di ovociti” da parte delle donne ancora giorni.

“La fecondazione eterologa viene chiesta sempre di più – rimarca Anserini – e sempre più spesso con la motivazione dell’età avanzata. E’ un dato di fatto che ormai i figli si fanno più tardi, che quando si cercano è più difficile concepirli e che quindi si ricorre sempre di più all’ovodonazione”, con i problemi di cui sopra. Siccome “almeno a breve non ci sarà modo di invertire questo trend”, avverte la presidente Sifes-Mr, per “ridurre la necessità di ricorrere all’ovodonazione la nostra proposta è far sì che possa aumentare la preservazione di ovociti. L’autodonazione – chiarisce l’esperta – dovrebbe essere un atto di autodeterminazione per le donne che fra i 32 e i 35 anni d’età non sono ancora nelle condizioni, o ancora non hanno la volontà, di fare un figlio e formare famiglia. Dovrebbero avere la possibilità di preservare i loro ovociti. E siccome poi l’utilizzo non è mai del 100%, quelli che rimangono potrebbero essere donati ad altri”.

Ma il ricorso alle procedure di procreazione medicalmente assistita è uniforme ed equo in tutte le aree della Penisola? “Con l’applicazione dei nuovi Lea”, i Livelli essenziali di assistenza, risponde Anserini, “l’accesso ai centri pubblici per la Pma dovrebbe migliorare. Ovviamente – aggiunge – l’accesso alle tecniche di Pma nei centri pubblici presenta delle differenze regionali, come però avviene per qualunque altra prestazione”.

In questi 20 anni dall’approvazione della legge, 9.200 bimbi sono venuti al mondo nei centri Genera in Italia. “Dal 2008, anno in cui è stato fondato a Roma il primo centro Genera, al 2021, nelle nostre cliniche abbiamo assicurato un contributo significativo all’importante flusso di nuovi nati reso possibile grazie al ricorso alla Pma. Dal 2004 a oggi, questo è aumentato progressivamente, non senza le difficoltà legate ai divieti che un tempo vigevano proprio in base alla legge 40”, sottolinea Filippo Maria Ubaldi, direttore medicodella rete di 8 cliniche specializzate in medicina della riproduzione.

“Divieti, come quello di ricorrere alla fecondazione eterologa, oppure di poter tentare la Pma in caso di coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche – ricorda l’esperto – che sono poi caduti grazie all’intervento della Corte costituzionale e che oggi non costituiscono più un ostacolo per le coppie italiane desiderose di un figlio”. “Nel 2004 la Pma non offriva le possibilità e le chance di successo che ci sono oggi. La tecnologia si è evoluta tantissimo sia a livello clinico, che all’interno dei laboratori di embriologia. La crioconservazione dei gameti, il test genetico pre-impianto sugli embrioni, i protocolli di stimolazione ormonale personalizzati – spiega Laura Rienzi, direttore scientifico di Genera – sono tutte conquiste che in questi 20 anni i centri più avanzati hanno raggiunto, consentendo di ottimizzare le possibilità di riuscita della Pma”.

“Oggi abbiamo di fronte sfide come l’impiego dell’intelligenza artificiale, dei big data, dei test genetici per lo studio e la prevenzione dell’infertilità – prosegue – tutte frontiere che stiamo esplorando con molta attenzione e che impiegheremo solamente quando saremo certi di poterle sfruttare al meglio a beneficio dei pazienti. Quel che è certo è che oggi in Italia l’offerta di trattamenti è all’avanguardia e non ha nulla da invidiare a quella di altri Paesi europei. Attualmente l’accesso a queste tecniche è in continuo miglioramento, ma potrebbe essere ampliato intervenendo sull’awareness dei cittadini, oltre che naturalmente aumentando l’offerta dei servizi su tutto il territorio nazionale. Un obiettivo importante da raggiungere – chiosa – considerando che la Pma potrebbe dare un contributo ancora più rilevante al continuo calo delle nascite cui stiamo assistendo da anni in Italia”.

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