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«Nei mesi successivi alla morte di mio padre parlavo spesso di lui alla mia amic…

«Nei mesi successivi alla morte di mio padre parlavo spesso di lui alla mia amica Sarah.

Le raccontavo della volta in cui era venuto a prenderci a scuola coi pattini in linea, travestito da Davy Crockett; o quando, in un giorno d’estate, si era presentato sulla spiaggia in completo e cappello di feltro in una capanna di paglia rimorchiata da una barchetta di pescatori urlando: «Aiuto! Aiuto!» davanti alla gente che rideva.

Le raccontavo che aveva portato mia madre in un angolo sperduto dell’India per incontrare una donna anziana che faceva il miglior chai del Rajasthan e che lui sembrava conoscere da sempre. Le parlavo delle mattine che lui e io passavamo nel suo letto a guardare i cartoni animati: ero sempre malata e all’asilo ero molto triste, così mia madre mi infilava sotto le coperte accanto a lui.

Le parlavo infine del suo ufficio, vero riflesso della sua anima, le descrivevo le luci calde, i mucchi di documenti, il letto – elemento essenziale di un buon ufficio -, le lettere che chiudeva con un sigillo di ceralacca, le incisioni, la lozione verde che si metteva sui capelli, i bigliettini che infilava sotto i bordi dello specchio, le pile di libri, le statuette antiche, i quadri – alcuni ritratti, le baie di Napoli, le sanguigne di cui mi ricordavo in modo vivido.

Quell’antro era la mia stanza preferita dell’appartamento in cui sono nata.»

“Il ricordi degli altri”: un viaggio in Italia sulle tracce di un padre idealizzato ma sconosciuto.

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