Dal 16 al 22 settembre si è svolta in Italia la Settimana di sensibilizzazione sulle malattie delle valvole cardiache, promossa dall’Associazione Cuore Nostro e dalla Fondazione Longevitas, in collaborazione con il Global Heart Hub. Le malattie delle valvole cardiache sono molto diffuse nel Paese, colpendo circa il 13% degli over 65. Un importante studio della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica ha evidenziato che il 7% delle persone oltre gli 80 anni soffre di stenosi aortica, il 10% di insufficienza mitralica e il 15% di fibrillazione atriale o scompenso cardiaco.
L’Italia detiene il primato di “Paese più anziano d’Europa”, con il 24,1% della popolazione oltre i 65 anni e una previsione che indica un incremento oltre il 30% entro il 2050. Le malattie delle valvole cardiache possono presentarsi con sintomi come vertigini, stanchezza e affanno, che spesso vengono trascurati o attribuiti all’invecchiamento. Una diagnosi precoce è cruciale: controlli regolari con lo stetoscopio da parte del medico possono rivelare anomalie nelle valvole, consentendo trattamenti tempestivi.
Durante la Settimana di sensibilizzazione, la presidente dell’Associazione Cuore Nostro, Eleonora Selvi, ha sottolineato l’importanza di aiutare le persone a riconoscere i segnali di queste malattie e di ascoltare le testimonianze di chi ha già affrontato la malattia. È fondamentale promuovere uno screening cardiologico per tutte le fasce di età, dato che i dati sull’incidenza delle malattie valvolari emersi dallo studio Prevasc sono stati superiori rispetto alla letteratura scientifica esistente. Alessandro Boccanelli, cardiologo e vice presidente SICGe, ha evidenziato la necessità di un piano nazionale per la salute cardiaca, basato su dati aggiornati.
La diagnosi precoce è essenziale e può salvare migliaia di vite. Lo studio Prevasc ha messo in luce la presenza di vizi valvolari latenti che, se non trattati, possono gravemente deteriorarsi entro 4-5 anni, aumentando il rischio di morte. Si stima che l’adozione di programmi di screening strutturati potrebbe ridurre fino a 150.000 decessi, portando le diagnosi dal 25% al 60%, e migliorando quindi le possibilità di sopravvivenza.