La morte di Liliana Resinovich è stata causata da una tecnica di soffocamento nota come “chokehold”, secondo la perizia medico-legale dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo. La relazione evidenzia segni di soffocamento associati a una forte iperflessione e rotazione del collo, portando a una frattura della vertebra T2, avvenuta poco prima o subito dopo il decesso, escludendo così l’ipotesi di suicidio.
La perizia, composta da 240 pagine, descrive come l’assassino abbia immobilizzato la vittima, serrandole il collo con l’avambraccio da dietro. Il corpo di Liliana presentava diverse lesioni su testa, volto e mano destra, suggerendo un tentativo di difesa. Gli esperti hanno identificato quattro poli d’urto distinti, il che rende improbabile l’idea di una caduta accidentale. La morte è avvenuta attorno alle 12:00 del 14 dicembre 2021.
Il chokehold è una tecnica che immobilizza il soggetto bloccando il flusso sanguigno al cervello e può causare asfissia se applicata a lungo. Questa manovra è stata al centro di polemiche in quanto spesso utilizzata in modo eccessivo dalle forze di polizia, come nel caso di George Floyd nel 2020. In seguito a tali incidenti, molte città americane hanno bandito l’uso del chokehold, e nel 2022 l’allora presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per vietarne l’uso a livello federale.
Attualmente, gli inquirenti stanno lavorando per identificare l’assassino di Liliana e ricostruire gli ultimi istanti di vita della donna, confermando sempre di più la natura omicidiaria del suo decesso.