gigi marzullo

(di Veronica Marino)

“La morte mi dà fastidio. Non la accetto. E’ inutile che tentino di convincermi”. Il tono è pacato, ‘sottovoce’, ma la passione di vivere “sul binario del lavoro e dell’amore” è ardente. Lui è Gigi Marzullo, il noto conduttore televisivo di ‘Mezzanotte e dintorni’ prima e di ‘Sottovoce’ poi, su Rai1. Non credo ci sia qualcuno in Italia che non conosca le sue domande, “semplici e dirette”, dice, ma “non banali”, perché l’intersse verso l’altro è profondo e l’ascolto delle risposte è “autentico” e diventa sempre occasione di “crescita, un vero aiuto. Ogni intervista, e ne ho fatte davvero migliaia, mi ha arricchito, mi ha permesso di capirmi di più”. E allora non stupisce che, in questa conversazione con l’Adnkronos, realizzata mentre è in giro per l’Italia a presentare il suo ultimo libro ‘La vita è un sogno’, Marzullo dica con tanta sicurezza: “Rimpianti nessuno. Sì, volevo fare l’attore, il medico, ma poi…”. Poi in realtà medico è diventato. Medico chirurgo per l’esattezza e su un palcoscenico in fondo è salito. Cos’è la tv se non anche questo? La differenza è stata, però, che lui l’ha interpretata a modo suo, creando un genere. ‘Le domande alla Marzullo’ richiamano un’attenzione verso l’essenza del personaggio, fuori dai copioni, sia quelli dei film, sia quelli che recitiamo un po’ tutti nella vita.

“E’ già difficile capire quello che vuoi fare nella vita -e io, infatti, l’ho capito strada facendo- che quando accade sei fortunato. Se poi riesci anche a realizzarlo, sei ancora più fortunato. Per questo – racconta Marzullo – io non vorrei mai smettere. Se non avessi fatto il giornalista e il conduttore, avrei fatto lo psichiatra, perché sono molto affascinato dai cosiddetti malati di mente. Sì, avrei cercato di dare una mano a persone che io ritengo molto più sensibili della norma e non riescono ad affrontare la propria vita. E così facendo, come accade quando ascolti e incontri l’altro realmente, avrei aiutato anche me stesso”. Si addice il titolo scelto per il suo programma a Gigi, all’uomo. ‘Sottovoce‘, perché “urlare non serve, sottovoce si possono dire cose che altri urlano e, invece, dicendole sottovoce forse arrivano meglio, lasciano lo spazio per ragionare. Credo – aggiunge – che a volte il silenzio sia la spiegazione più profonda che ci possa essere. Basta un attimo di silenzio per dire cose che se fossero state dette in modo urlato, non avrebbero avuto la stessa potenza del silenzio”.

Il silenzio è uno spazio in musica. Uno spazio fra le parole, che così possono farsi ascoltare. E Gigi Marzullo ama ascoltare e conoscere: “Ognuno di noi, prima di fare la professione che fa, è quello che è. E quello che è, è la cosa che mi interessa di più, perché quello che l’altro è, è proprio ciò che ha fatto in modo che quella persona svolgesse quella professione e diventasse il personaggio che è di fronte a me, a noi”. L’essenza è il punto, che a dispetto dei fronzoli, dei rossetti, delle maschere dei veli, resta salda dentro e fa capolino, a volte, proprio grazie a chi osa fare domande inusuali. “Raccontare la propria vita è raccontare se stessi e fa emozionare. Chi è timido e riservato, non ha voglia di parlare di sé. Penso a Massimo Troisi. Non fu facile riuscire ad intervistarlo. Ci riuscii grazie alla compagna di allora, Clarissa Burt. Ma non fu l’unico caso in cui faticai. Per questo poi mi è accaduto spesso di restare stupito quando il mio ospite si apriva così tanto durante l’intervista”.

“Credo – dice Marzullo – che questo sia accaduto perché il mio interlocutore percepiva che da parte mia c’era un interesse autentico nel conoscerlo, non era ‘mestiere’. Questo mi fa pensare – riflette a voce alta Marzullo e la mente va a ‘Sliding doors’ – che se avessi fatto lo psichiatra avrei raggiunto la sufficienza, perché sono realmente incuriosito dagli altri, dalla vita”.

Una curiosità che continua se, dopo aver intervistato personaggi di lustro fra i quali Alda Merini, Ennio Morricone, Charles Aznavour, Alberto Sordi, Vittorio Gasmann, Luciano Pavarotti, Anthony Quinn e tantissimi altri ancora meravigliosamente presenti come Sophia Loren, Isabelle Allende e Roberto Benigni, ci tiene a dire: “Vorrò morire lavorando. Poi per me il mio lavoro non è lavoro, è un piacere. Certamente non dipende solo da me, ma io ce la metterò tutta”.

Beh ci sono incontri che aprono la mente e il cuore. “Vorrei una dose di Benigni ogni giorno – scrive nel suo libro – come medicina. Lui crea un’atmosfera di festa e intanto somministra profondità. Il Benigni che prende in braccio la Carrà e quello che legge Dante fanno entrambi bene. In comune, c’è sempre la sua umanità”, dice dando così un forte peso a queste sette lettere. E allora sottovoce chiedo, siamo ancora ‘umani’? “Dal boom economico ad oggi le cose sono cambiate e noi con loro. Basti pensare che siamo arrivati alla guerra. Ciononostante io penso che l’umanità sia più predisposta al bene che al male, ma il male c’è. E quando c’è lo devi affrontare cercando di sconfiggerlo”. E un po’ di Benigni al giorno, basterebbe? “Benigni è come il pane che esce dal forno. Fa bene. Benigni è buono. Non è mai in malafede”. Io dico che potrebbe bastare.

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