Il massmediologo, giornalista e scrittore Klaus Davi ha denunciato di essere stato aggredito da alcuni frequentatori della moschea di viale Jenner a Milano. Davi si trovava sul posto per realizzare interviste e reportage riguardanti le prossime elezioni americane e l’orientamento del mondo islamico al riguardo. Nella sua nota, Davi racconta di essere stato prima accerchiato da un gruppo di individui che lo hanno spintonato e hanno tentato di sottrargli il registratore. Dopo essere riuscito a liberarsi, si è rifugiato in un bar vicino, ma gli aggressori lo hanno inseguito e sono entrati nel locale, intimandogli di consegnare camera e microfono.
Circa pochi minuti dopo, si è verificato un acceso confronto tra Davi e i frequentatori della moschea, alla presenza di numerosi testimoni. La situazione ha richiesto l’intervento di tre agenti della Digos, che non erano stati allertati in anticipo dal giornalista, occupato a gestire la situazione. Gli agenti hanno condotto Davi fuori dal bar e lo hanno subito scortato verso la sua abitazione.
Durante il trasferimento, però, la macchina della Polizia è stata oggetto di aggressione da parte del gruppo di uomini, che hanno colpito il veicolo con pugni e calci. Alcuni di loro, come riportato dagli agenti della Digos, erano armati di coltelli e lame, aumentando la gravità della situazione. Questo episodio pone una seria riflessione sulle tensioni sociali e sulla sicurezza dei giornalisti che svolgono il loro lavoro in contesti sensibili e controversi.
L’aggressione a Klaus Davi evidenzia non solo i rischi legati all’informazione su tematiche delicate come quelle inerenti l’Islam e le elezioni, ma anche la necessità di garantire protezione e sicurezza a chiunque svolga un ruolo informativo. Ancora una volta, il conflitto tra libertà di espressione e reazioni emotive dei soggetti coinvolti emerge con forza, richiedendo un equilibrio difficile da trovare.