Nonostante detenga riserve record e un patrimonio aureo tra i più elevati a livello globale, l’Italia continua a stagnare. I capitali abbandonano il Paese, gli investimenti interni sono in calo e la crescita economica resta ferma. La vera criticità non è il debito, ma l’incapacità di trasformare la ricchezza in sviluppo.
I dati recenti dell’Istat evidenziano una crescita pari a zero nel terzo trimestre, in linea con le previsioni governative di un incremento dello 0,5% entro la fine dell’anno. Questo non fa che alimentare le polemiche da parte di un’opposizione sempre in agitazione. La situazione responsabilizza non solo la classe politica, ma include anche sindacati e imprenditori, tutti co-responsabili di un contesto stagnante.
Le riserve ufficiali italiane, gestite dalla Banca d’Italia, hanno raggiunto un valore di 332 miliardi di euro, raddoppiato dal 2020, grazie all’aumento del prezzo dell’oro. In Europa, solo la Germania supera l’Italia in termini di riserve, che rappresentano il 9,7% del PIL nazionale, mentre gli investimenti netti in Italia sono stati inferiori rispetto a quelli all’estero.
Nonostante le risorse, l’Italia continua a investire principalmente in modo indiretto, tramite portafogli finanziari, senza partecipare attivamente alla governance delle aziende. Questa modalità di investimento non favorisce lo sviluppo del Paese, rendendo difficile la competizione nel mercato globale.
Ciò nonostante, le riserve accumulate offrono una rete di sicurezza che consente una certa flessibilità per stimolare la domanda interna, incrementando salari e spesa pubblica. Tuttavia, il debito pubblico rimane un fardello da considerare, influenzando eventuali politiche espansive. L’analisi deve tenere conto della crescita del PIL in relazione all’aumento del debito, solo così sarà possibile superare l’attuale impasse economico.