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Humanitas, oltre 60mila casi di patologie della mano ogni anno: parla il chirurgo che cura musicisti, sportivi e artigiani


La mano, una piccola parte del nostro corpo, ma così complessa che al suo interno contiene tutte le strutture anatomiche presenti nel corpo umano: muscoli, tendini, vasi sanguigni, ossa, legamenti, nervi, fino alla pelle. Una caratteristica che la rende unica e insostituibile nel vero senso della parola, dato che “a oggi, al contrario ad esempio degli arti inferiori, non esistono protesi in grado di riprodurre le piene funzionalità delle nostre mani. E quindi la parola d’ordine per chi si occupa di chirurgia della mano e deve intervenire in caso di patologie degenerative, o traumi di qualsivoglia natura, è quella di ‘conservare’. Sia che si tratti di pazienti che usano le mani per produrre arte, dai musicisti ai pittori, per fare sport ad alti livelli, dai cestisti ai giocatori di volley, sia che si abbia davanti un piccolo artigiano che lavora grazie alle sue mani”. Parola di Giorgio Pivato, Responsabile dell’Unità Operativa Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva del Gruppo Humanitas, dove vengono trattati ogni anno oltre 60.000 casi di patologie a carico delle mani, dal più semplice che può essere affrontato con un trattamento di tipo conservativo, al più complesso come ricostruzioni sofisticate a seguito di amputazioni o ustioni gravi.

Ed è proprio la presenza in un unico organo, come la mano, di diverse strutture anatomiche, racconta, “che rende necessaria da parte del chirurgo della mano la conoscenza dell’anatomia e di come trattare al meglio tutti questi tessuti, che vengono normalmente seguiti da specialisti diversi: è una figura di raccordo che ha come peculiarità quella di dover affrontare problematiche diverse e spesso uniche. La mano, rispetto ad altri distretti del corpo, può andare incontro per la sua complessità a una serie di patologie o eventi traumatici che sono estremamente variegati, molto più rispetto a una spalla o a un ginocchio, che pure sono parti importantissime. Ma su cui le tipologie di interventi possibili sono limitati: sulla mano non potrei neanche elencarli, potremmo ipotizzare che siano possibili oltre 500 interventi diversi. Questo è dovuto, come dicevo, alla complessità dell’organo e al fatto che è più esposto a rischi durante la nostra attività quotidiana”. La casistica del centro specialistico dell’Humanitas va da “tutte le situazioni traumatiche dovute a infortuni sul lavoro, in casa, durante lo sport, a tutte le patologie da ‘over-use’ della mano: musicisti, sportivi, e chiunque faccia attività ripetitive con le mani, vanno incontro a problematiche non di natura traumatica ma infiammatoria, a tendiniti, sindromi da sovraccarico, compressioni nervose. Come Unità operativa della chirurgia della mano del gruppo Humanitas visitiamo una media di 60.000 pazienti l’anno, un terzo di questi hanno un’indicazione chirurgica, i restanti due terzi hanno invece indicazioni conservative, non chirurgiche e vengono trattati con terapie fisiche, infiltrazioni di cortisone, acido ialuronico, cellule staminali e numerose altre tecniche. Molto importante, e complementare al nostro lavoro, è quello del fisioterapista, perché è la persona che da una parte riabilita il paziente e ne protegge le strutture dalle criticità, dall’altra si occupa del confezionamento dei tutori che sono un elemento fondamentale della nostra pratica clinica, perché non hanno solo lo scopo di immobilizzare e rappresentare un’alternativa più comoda del tradizionale apparecchio gessato, ma sono anche un presidio che permette di mettere a riposo, in maniera selettiva e specifica, strutture che si sono infiammate, adattandosi alle esigenze del singolo paziente. A volte si confezionano chiedendo al paziente di portare con sé il suo strumento di lavoro o di svago, penso a una bicicletta o a uno strumento musicale, per far sì che possa essere realizzato sulle precise e singole caratteristiche anatomiche. Ma tengo a precisare che il 99% dei casi che trattiamo sono pazienti ‘normali’, con lavori normali, spesso ‘manuali’, e che aiutiamo nel poter riprendere al più presto le loro attività per limitare i danni anche economici che un infortunio alla mano può rappresentare per la maggior parte di loro”.

Le patologie più frequenti sono “la sindrome del tunnel carpale, la sindrome del dito a scatto e le patologie degenerative artrosiche. Straordinarie sono le situazioni che esulano dalla routine e quindi tipicamente non riproducibili, soprattutto in situazioni di traumi: le amputazioni delle dita o di segmenti delle dita o della mano, le ustioni. Abbiamo naturalmente trattato grandi sportivi, artisti, musicisti, ma, nel contesto di tutti gli Ospedali Humanitas, tra Milano, Bergamo e Torino, gestiamo 4 Servizi di pronto soccorso specialistici che per definizione sono un luogo di raccolta che non fa selezione ed è ‘democratico’. Nel momento in cui si sa che presso quella struttura c’è un pronto soccorso che si occupa di traumi alla mano esso diventa un punto di riferimento anche per gli operatori del 118”.

Quanto alla tecnologia, “la complessità della mano ha fatto sì che oggi come oggi non abbiamo dei sostituiti protesici che neanche lontanamente si possano avvicinare a quelli disponibili per gli arti inferiori. Anni fa si discuteva se far gareggiare Oscar Pistorius, doppio amputato alle gambe, fra gli atleti normodotati, in quanto le sue protesi gli garantivano performance sovrapponibili a quelli di un corridore ‘sano’. Se si perde un pollice, è impossibile offrire qualcosa che si avvicini a garantire la piena funzionalità. Cominciano a uscire protesi biomeccaniche che, collegate ai nervi permettono alla mano di eseguire alcuni movimenti molto elementari, ma prima di tutto sono esteticamente non gradevoli, poi molto lente, non hanno sensibilità e non danno quella destrezza nel muovere le dita in modo coordinato che una mano sana garantisce. Le nuove tecnologie, però, consentono di eseguire interventi sempre meno invasivi: artroscopia, endoscopia, mezzi di sintesi per le fratture sempre più performanti e da impiantare facilmente ottimizzano il nostro lavoro. Ma se si parla di tecnologia in termini protesici effettivamente a oggi abbiamo poco a diposizione e per questo dobbiamo saper ricostruire piuttosto che sostituire”.

Anche le nuove generazioni di medici aspiranti specialisti in questa branca “devono investire sulla formazione nella ricostruzione. In Italia non esiste una specialità in chirurgia della mano, chi la fa è un ortopedico o un chirurgo plastico e si sceglie una strada piuttosto che un’altra a seconda del percorso culturale seguito. Nel 2011 le due specialità sono state rese equipollenti per quanto riguarda il trattamento delle patologie della mano e oggi in Italia il 30% dei chirurghi della mano sono chirurghi plastici, mentre il 70% è composto da ortopedici. Altrove, ad esempio in Spagna, la proporzione è inversa. In Scandinavia e in Germania invece ci sono scuole di specializzazione ad hoc. Esistono comunque diplomi europei da conseguire per certificare la propria attività. Ma in Italia il livello dei centri specialistici è davvero alto e direi che non occorre, per un giovane che voglia intraprendere questa strada, peraltro molto richiesta, andare all’estero”. Da uno dei maggiori esperti italiani, infine, qualche consiglio per conservare la salute e la funzionalità delle mani: “Prima di tutto non sottovalutare mai un problema alla mano e rivolgersi se possibile subito a uno specialista senza perdere troppo tempo, cercando un riferimento vicino a dove si abita che abbia quel tipo di esperienza e di formazione. Avendo tutti ben in mente quanto preziose siano le mani, fare sempre attenzione alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, per gli sportivi imparare sempre al meglio i gesti tecnici da eseguire quando si fanno movimenti con le mani, non a caso si riconosce subito uno sportivo professionista da un amatore in base al tipo di trauma che ha subìto. La stessa cosa per i musicisti, che devono essere correttamente posizionati sullo strumento. E poi seguire il principio cosiddetto dell’economia articolare, secondo il quale a seconda della struttura infiammata o degenerata ad esempio per artrosi si possono apprendere azioni di compenso per non sollecitare quella articolazione e preservarla nel tempo”.



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