Il recente furto al Louvre ha messo in evidenza importanti vulnerabilità nei sistemi di sicurezza del famoso museo. Un’analisi ha rivelato che le password utilizzate per i sistemi di videosorveglianza erano incredibilmente semplici, come “LOUVRE” e “THALES”, il nome del software di sicurezza.
L’operazione dei ladri è stata definita un “physical-pen test”, in quanto pianificata attraverso una ricognizione meticolosa e l’uso di tecniche avanzate di intelligence informatica. I malintenzionati hanno studiato turni, flussi e procedure di sicurezza, preparando così il colpo perfetto. Il furto è avvenuto in un contesto di sicurezza ritenuta impenetrabile, come confermato anche dalla ministra della Cultura, Rachida Dati, che ha riconosciuto delle mancanze nei protocolli.
Il 20 ottobre, due uomini sono riusciti ad accedere alla Galleria di Apollo, uno degli spazi più preziosi del Louvre, utilizzando un camion per facilitare il loro arrivo e impiegando smerigliatrici per forzare le vetrine. Il bottino, composto da gioielli stimati in 88 milioni di euro, è stato recuperato con l’aiuto di complici su scooter.
Le telecamere di sorveglianza hanno fallito nel documentare l’accaduto, restituendo immagini sfocate. Le indagini hanno portato all’arresto di sette persone, alcune delle quali accusate di rapina organizzata.
Una revisione della sicurezza digitale del museo, effettuata anni prima, aveva già rilevato rischi significativi, suggerendo che il controllo della rete avrebbe potuto dare via libera a furti d’arte. La scoperta delle password facilmente prevedibili si è rivelata un elemento critico nel fallimento degli apparati di sicurezza del museo, che ora si trova sotto una forte pressione mediatica e pubblica.
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