Era il 28 giugno 2022 quando Aurora (il nome è di fantasia) decideva di raccontare la sua storia a Sanità Informazione, affinché altre donne ed altre coppie non finissero col vivere il suo stesso incubo: vedere sfumare giorno dopo giorno la possibilità di concepire un figlio. «Sono trascorsi sette mesi e nulla è cambiato. Anzi, la situazione è ulteriormente peggiorata – spiega Aurora -. Non solo la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) continua ad essere una prestazione non erogata dal Sistema Sanitario Regionale della Sicilia, così come in molte altre regioni d’Italia, soprattutto del Sud, ma la mia riserva ovarica si è quasi esaurita e l’arrivo di una menopausa precoce è sempre più vicino».

Sanità privata: l’unica alternativa

La riserva ovarica è data dal numero di ovociti presenti nelle ovaie in un determinato momento della vita riproduttiva della donna. Mentre negli uomini la produzione di spermatozoi è, in assenza di patologie, costante dalla pubertà alla vecchiaia, nelle donne il numero di ovuli è limitato e la loro perdita è un processo irreversibile, dal momento della nascita fino alla menopausa. «A giugno la mia riserva ovarica era pari a 1,5. Ora si è dimezzata: dalle ultime analisi il valore emerso è di 0,71 – dice la donna -. Ancora pochi mesi e dovrò rinunciare per sempre al sogno di una gravidanza. Per questo, io e mio marito abbiamo deciso di chiedere un prestito e tentare un percorso di PMA in una struttura privata, dove ogni singolo tentativo può costare dai 3 ai 5 mila euro, se si considera anche il costo degli esami ematici e diagnostici necessari».

L’appello ai Ministeri

Per sostenere tutte le donne che, come Aurora, sono in attesa di accedere ad un percorso di PMA,  l’associazione Hera Onlus per lo studio e la ricerca della Fertilità ha inviato una lettera ai ministri della Salute e per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità per chiedere l’approvazione del “decreto tariffe”, necessario affinché le prestazioni di PMA, già inserite nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) con l’aggiornamento del 2017, possano essere effettivamente ed equamente erogate in tutte le Regioni d’Italia.

«Una prestazione inserita nei Lea può essere, in teoria, erogata in convenzione con il SSN. Ma, in pratica, affinché i cittadini possano realmente usufruirne, è necessario che venga approvato il cosiddetto “decreto tariffe”, che definisce il tariffario nazionale delle prestazioni – spiega Giacomo D’Amico, presidente di Hera Onlus -. La sua mancata approvazione blocca, nella pratica dei fatti, l’entrata in vigore dei nuovi Lea (ancora definiti “nuovi”, seppur approvati sei anni fa, il 12 gennaio 2017, e pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo dello stesso anno, ndr). Di conseguenza le Regioni, come la Sicilia ed altre del Sud Italia sottoposte a piano di rientro in seguito a disavanzo sanitario, non avendo i fondi necessari, non possono erogare queste prestazioni nemmeno in modo autonomo», aggiunge il presidente.

La sentenza della Corte Costituzionale

Nel mese di dicembre, poco prima delle festività natalizie, sulla vicenda è intervenuta anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 242 del 2022 (relativa ad una legge pugliese in materia di esami genetici per le malattie rare). «La Corte – dice D’Amico – ha rivolto un duro monito agli organi competenti ad adottare il “decreto tariffe”, affermando che non vi è “alcuna giustificazione” che possa consentire di spiegare il ritardo dell’approvazione del c.d. decreto tariffe e quindi dell’entrata in vigore dei LEA approvati quasi sei anni fa».

Il caso Sicilia

A fronte di questa situazione “bloccata” le coppie hanno due soluzioni: pagare di tasca propria la PMA, rivolgendosi ad una struttura sanitaria privata, oppure recarsi in un’altra Regione. «Per i siciliani, però, – sottolinea D’Amico – l’opzione è soltanto una, la prima: mettere mano al portafoglio. Nel mese di maggio 2022 una circolare diffusa dell’allora Assessore regionale alla Sanità ha bloccato la mobilità interregionale per la PMA. Una scelta dovuta all’impossibilità per il Sistema Sanitario della Regione Sicilia di compensare le spese sostenute fuori Regione sulla base di codici delle prestazioni non del tutto coincidenti con quelle della PMA». Era a questo punto della vicenda che Aurora, nel mese di giugno dello scorso anno, aveva deciso di raccontare la sua storia a Sanità Informazione: le direttive emanate della Regione Sicilia le avevano impedito di continuare il percorso di PMA che da poco aveva intrapreso in Lombardia.

Pochi finanziamenti per pochi

Nei mesi scorsi uno spiraglio di luce aveva illuminato le coppie siciliane in lista per accedere alla PMA: «La Regione Sicilia (con D.A. n. 843/2022) ha messo a disposizione 164.751,60 euro destinati alle strutture pubbliche e 384.420,38 a quelle private per finanziare le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita. Al bando sono state ammesse tutte le coppie con un reddito annuo lordo non superiore a 50 mila euro. Un centro privato di PMA di Catania si è aggiudicata la cifra più consistente, 151.846,05 euro, ma qui come altrove i fondi si sono prosciugati nel giro di poche settimane», commenta D’Amico. Tuttavia, questo non è l’unico aspetto negativo della vicenda: il finanziamento non copre nemmeno tutte le spese. «Ogni coppia – racconta Aurora -, pur avendo ottenuto il sostegno economico ha dovuto comunque sborsare ulteriori mille euro per accedere alla PMA. Una cifra che per molti coincide ad un intero mese di lavoro ed anche di più».

Il mercato illegale

Ma non è tutto. Il “caso” siciliano avrebbe incrementato anche una sorta di mercato illegale: «Le coppie sono diventate inconsapevolmente parte di un meccanismo “poco chiaro”, attraverso il quale prestazioni non concesse dalla Regione Sicilia, vengono “offerte” in strutture di altre Regioni a carico del SSN raggirando il sistema stesso. Chi riesce a usufruire di queste prestazioni fuori Regione, che sia o meno a conoscenza della situazione, rischia tutto pur di raggiungere il suo obiettivo di diventare genitore. Il resto delle coppie, invece, continua a vedersi negare questi percorsi. Aumentano, così – conclude Aurora – anche le disuguaglianze in un contesto già di per sé disagiato, in cui ci troviamo costretti a sopravvivere».

 



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