Un’importante sviluppo si profila per l’ex Ilva, attualmente nota come Acciaierie d’Italia. I commissari straordinari hanno ricevuto dieci offerte per i suoi stabilimenti; tre sono per la totalità delle strutture e provengono da entità straniere, mentre le altre sette riguardano singoli asset. La scadenza per la presentazione delle offerte è stata prorogata fino alla mezzanotte tra il 10 e l’11 gennaio, ampliando così la partecipazione al processo.
Tra le tre offerte complete, si segnalano le cordate Baku Steel Company Cjsc con Azerbaijan Investment Company Ojsc, Bedrock Industries Management Co Inc e Jindal Steel International. Per le sette offerte sui singoli asset, ci sono anche aziende italiane come Car Segnaletica Stradale Srl, Eusider Spa e Marcegaglia Steel Spa, coinvolte in diverse cordate.
I commissari straordinari si concentreranno sull’analisi delle proposte, valutando aspetti chiave quali occupazione, decarbonizzazione e investimenti necessari per garantire uno sviluppo sostenibile e la protezione dei lavoratori. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha affermato che la partecipazione di attori internazionali è un segnale positivo per il rilancio dell’azienda.
Inoltre, i commissari sono disposti a esaminare ulteriori offerte che dovessero arrivare oltre la scadenza prefissata, a patto che presentino condizioni molto favorevoli per la procedura in corso. L’ex Ilva rappresenta il più grande impianto siderurgico italiano, con otto stabilimenti e circa 10.500 dipendenti, di cui 3.000 in cassa integrazione, mentre il sito di Taranto conta 2.500 lavoratori in tale stato.
Dopo un lungo stallo tra il socio privato Arcelor Mittal e quello pubblico Invitalia, a febbraio 2024 è stato deciso il commissariamento della società. Una vendita rappresenterebbe il terzo passaggio di proprietà dell’azienda, dopo quelle di Riva nel 1995 e Arcelor Mittal nel 2017. Il sindacato Fiom-Cgil ha richiesto un incontro a Palazzo Chigi per garantire un confronto diretto tra sindacati e azienda, esprimendo disagio per le comunicazioni pubbliche senza un dialogo diretto con i rappresentanti dei lavoratori.