«Diventare mamma è stato sempre il sogno più grande della mia vita. E l’idea di doverci rinunciare non mi dà pace». Aurora (il nome è di fantasia), comincia da qui a raccontare la sua storia. Ha deciso di denunciare quanto le è accaduto a Sanità Informazione, pur mantenendo l’anonimato per tutelare se stessa e la sua famiglia, affinché altre donne ed altre coppie non rivivano il suo stesso incubo. «Avevo già comprato i biglietti aerei dalla Sicilia alla Lombardia, prenotato l’albergo, fatto scorta dei medicinali necessari – racconta Aurora -, ma pochi giorni prima ho ricevuto l’inaspettata comunicazione: il mio tentativo di Procreazione Medicalmente Assistita era stato bloccato. Avevo fallito ancor prima di averci provato».

Lo “strano” caso di Aurora

Ma è questo è solo l’epilogo della storia. Andiamo con ordine e facciamo un passo indietro, tornando al giorno in cui tutto ha avuto inizio: «Era la fine dello scorso anno – racconta Aurora -. Io e mio marito, dopo aver tentato più volte di avere un figlio in modo naturale, ci siamo sottoposti a delle analisi, scoprendo di avere un problema di infertilità. Problema che, fortunatamente, poteva essere “superato” ricorrendo alla Procreazione medicalmente assistita (PMA)».

Aurora senza perdere nemmeno un minuto ha alzato il telefono ed ha contattato i centri di PMA presenti nella zona della Sicilia dove vive. E qui è arrivata la prima amara scoperta: la PMA non è erogata in convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale (almeno non in Sicilia), e quindi anche un solo tentativo, tra analisi, farmaci e procedura di fecondazione, le sarebbe costato circa 5 mila euro. «Una cifra inaccessibile», commenta la donna.

La “tratta” della PMA: Sicilia-Lombardia

Aurora, pur sentendosi profondamente delusa, era talmente incredula da decidere di effettuare delle personali ricerche. «Nel giro di pochissimo tempo ho scoperto che la stessa PMA, che a me che vivo in Sicilia costerebbe 5 mila euro, ad una cittadina lombarda verrebbe garantita in convenzione con il SSN al costo di un ticket, meno di 40 euro». Continuando le sue accurate ricerche Aurora è entrata in contatto con altre donne siciliane che si trovavano nella medesima situazione, molte delle quali erano riuscite non solo ad intraprendere un percorso di PMA in Lombardia in convezione con il SSN, ma anche a mettere al mondo il figlio desiderato.

«La maggior parte di queste aveva realizzato il proprio sogno grazie ad una ginecologa, che opera in regime libero professionale – dice Aurora -. Senza pensarci due volte ho fissato un appuntamento, a pagamento, e ci sono andata. La specialista in questione mi ha assicurato che avrei potuto recarmi in Lombardia e sottopormi alla PMA senza alcun problema».

PMA: nei LEA c’è solo sulla carta

Ma così non è stato. Il primo scoglio Aurora lo ha trovato quando ha chiesto al suo medico di medicina generale di fornirgli le prescrizioni necessarie. Quelle ricette, che il suo medico di famiglia si è rifiutato (giustamente) di firmare, sono ancora conservate dalla donna, tanto che nel corso dell’intervista ne legge il contenuto: “ricovero per procedura di PMA (prelievo di ovociti)” e  “ricovero per procedura di PMA (trasferimento embrioni)”. La PMA, pur essendo prevista nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) dal 2017, ad oggi non è erogabile come tale, poiché non è stato approvato il tariffario.

«Ad ogni prestazione prevista nei LEA è associato un codice e ad ogni codice una tariffa – spiega Giacomo D’Amico, presidente di Hera, associazione di pazienti  PMA -. Ad oggi, alla PMA non è stato attribuito alcun codice. E a cinque anni dall’inserimento di tali prestazioni nei LEA il tariffario è ancora al vaglio della Conferenza Stato-Regioni. Questo significa che nelle regioni come la Sicilia, e in altre del Sud che ancora pagano le conseguenze del disavanzo sanitario registrato degli anni scorsi, non è possibile erogare prestazioni extra-Lea in convenzione con il SSN. Le Regioni che, invece, hanno i conti sanitari in regola possono decidere di destinare delle risorse per garantire prestazioni non previste nei LEA, PMA compresa, al costo del ticket». Va sottolineato che ogni Regione paga per i cittadini residenti, per cui se un siciliano va a farsi curare in Lombardia è sempre la Sicilia a dover pagare. E se la Sicilia non ha i soldi per erogare la PMA in convezione in loco non potrà sostenerne i costi nemmeno fuori Regione.

La “magagna”

A questo punto della storia la domanda sorge spontanea: come avevano fatto tutte quelle donne siciliane che, prima di Aurora, si erano rivolte alla ginecologa siciliana ed avevano effettuato “indisturbate” la PMA in Lombardia? «Raggirando il problema – risponde Antonino Guglielmino, presidente nazionale della SIRU, la Società Italiana di Riproduzione Umana -. Le signore in questione andavano nei centri di PMA lombarda portando con sé due prescrizioni che non riportavano affatto la dicitura PMA, ma che comunque permettevano loro di accedere al percorso. Per fare degli esempi concreti la procedura di prelievo ovocitario veniva erogata con una prescrizione per “intervento di origine non neoplastico sulle ovaie” e il trasferimento degli embrioni con “intervento di origine non neoplastico sull’utero”». A pagarne le spese, non solo nel senso figurato del termine, era poi la Regione Sicilia che si ritrovava a dover rimborsare spese mediche che costano anche due, tre volte di più di una PMA. «Abbiamo sollecitato più volte le Istituzioni competenti a riguardo – assicura Guglielmino – tanto che il 9 maggio l’assessore alla Sanità della Sicilia ha preso una posizione ufficiale bloccando queste prestazioni extra regione».

L’intervento della Regione Sicilia

Ecco cosa dice testualmente il documento redatto dall’Assessorato alla Salute delle Regione Sicilia:  «Premesso che le prestazioni di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), … in mancanza della pubblicazione delle tariffe da corrispondere, non possono in atto essere oggetto di compensazione interregionale di mobilità sanitaria, si fa presente che la suddetta criticità non può essere aggirata attraverso la codifica di prestazioni diverse dalla PMA, inerenti diagnostica/interventi di natura ginecologica, al fine di recuperare i costi per le procedure di PMA effettuate in altre regioni in favore di assistiti residenti in Sicilia. Pertanto, in questa fase non saranno oggetto di compensazione interregionale le prestazioni riportanti codifiche opportunistiche, che possano celare l’erogazione di procedure di PMA a favore di assistite per le quali risultano ad esempio erogazioni a carico del SSN di farmaci soggetti alla nota AIFA 74. L’eventuale riscontro di codifiche non corrispondenti alle effettive procedure eseguite, oltre a non dar seguito alla compensazione economica, sarà oggetto di opportuna segnalazione all’Autorità Giudiziaria competente».

A che punto siamo

Dal 9 maggio il percorso di Aurora e di tutte le donne siciliane in cerca di un figlio attraverso la PMA, fuori Regione e in convenzione con il SSN, si è interrotto. «Hanno dovuto rinunciare anche coloro che avevano già affrontato le prime fasi della PMA – sottolinea D’Amico -. Ed è soprattutto per queste donne che, in attesa dell’approvazione dei tariffari LEA, che sbloccheranno l’erogazione delle prestazioni in convenzione con il SSN, che bisogna trovare una soluzione nell’immediato. Ad esempio, dovrebbero essere offerta la possibilità di investire le risorse stanziante dal Ministero della Salute a favore delle regioni in difficoltà, come la Sicilia, per sostenere, almeno in parte, gli enormi costi della PMA».

Nei prossimi giorni associazioni di pazienti e rappresentanti del mondo scientifico si riuniranno per scrivere un documento condiviso da inviare alla Conferenza Stato-Regioni, al fine di sollecitare l’approvazione del tariffario dei LEA. «Garantire la PMA tra i LEA è un dovere, se vogliamo contrastare la denatalità, grave problema del nostro Paese  – dice Guglielmino -. In Italia, la PMA incide per il 3,4% su tutte le nascite, percentuali che in Sicilia scende al 2,2% e che in regioni dove ci sono delle agevolazioni economiche, attraverso convenzioni con il SSN, sale di molti punti percentuali: in Toscana è a quota 6,8%, in Lombardia 6,2%. Quando la PMA sarà riconosciuta a pieno titolo nei LEA, sono certo – conclude il presidente SIRU –  che raggiungeremo, nel giro di poco, percentuali a due cifre».

 



Fonte

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *