La democrazia rappresentativa sta affrontando una crisi che mette in discussione la sua legittimità. Oggi, nonostante l’abbondanza di strumenti di comunicazione e informazione, la fiducia nella politica è in calo. L’astensionismo elettorale, il cambiamento di identità dei partiti e la percezione obsoleta della rappresentanza caratterizzano il panorama politico contemporaneo.
Le democrazie occidentali mostrano una “stanchezza strutturale”, in cui il circuito rappresentativo, un tempo il fulcro del governo parlamentare, appare lento e inefficace di fronte ai rapidi cambiamenti della società digitale. Questo fenomeno è aggravato dalla crescente sfiducia nelle istituzioni e dalla disintermediazione digitale, che ha contribuito a una crisi di legittimazione. La partecipazione politica si è ridotta a espressioni occasionali, perdendo contenuto civile e deliberativo.
La crisi della rappresentanza non è una novità; le sue radici risalgono all’evoluzione storica del concetto stesso. Dalla democrazia diretta dell’antichità alla rappresentanza moderna, il ruolo dei partiti politici è cambiato drasticamente, portando a una frammentazione degli interessi sociali. Nel Novecento, l’emergere di partiti di massa ha reso la rappresentanza più complessa, mentre la crescente personalizzazione del potere e il dilagare dei “catch-all parties” hanno impoverito il contenuto sociale della stessa.
In Italia, la crisi si è accentuata a partire dagli anni Novanta, con riforme elettorali che hanno minato il legame tra cittadini ed eletti. La globalizzazione e la comunicazione massmediale hanno ulteriormente complicato la situazione, portando a una nuova forma di popolismo che mira a bypassare i corpi intermedi e ad instaurare una connessione diretta fra leader e popolo. Questo processo ha trasformato la democrazia in un sistema ibrido, in cui è sempre più difficile distinguere tra rappresentanza e mera rappresentazione.
