Dalla provincia di Bergamo, dove vive e lavora, a New York per portare un messaggio: “Scuola e società diano a tutti i mezzi per realizzarsi”
“Sono una ragazza ottimista e studiosa e mi è sempre piaciuto imparare cose nuove. Gli insegnanti che ricordo con affetto e gratitudine sono quelli che mi hanno visto come Marta, e non come una persona Down”. Era marzo 2019 quanto Marta Sodano, oggi 30enne, rappresentava l’associazione Coordown al quartier generale della Nazioni Unite di New York. Nel suo discorso raccontava la sua esperienza educativa con parole chiare e scelte con cura e spiegava quanto è importante che gli altri – educatori che dovrebbero trasmettere conoscenze per la vita, datori di lavoro, amici stessi e famiglia – credano nelle potenzialità di ogni persona, indipendentemente da quello che c’è scritto nella loro ‘carta d’identità cromosomica’. Al suo racconto appassionato si è ispirata una campagna internazionale, targata Coordown in Italia.
Il video che la lancia, in occasione della Giornata mondiale sulla sindrome di Down di giovedì 21 marzo, si intitola ‘Assume that I can’ e ha raggiunto più di 100milioni di visualizzazioni online in 4 giorni. Obiettivo: abbattere stereotipi sulla disabilità e mettere fine ai pregiudizi che impediscono alle persone con sindrome di Down di sviluppare pienamente le loro vite, i loro potenziali. “Ho scoperto che in psicologia esiste un concetto, in inglese ‘self-fulfilling prophecy’, cioè una profezia che si auto-avvera, per cui l’insegnante che pensa che lo studente non possa capire si comporta di conseguenza, non spiega, e fa avverare la profezia. Ma per me non esistono concetti facili o difficili. Se penso alle cose che non mi sono state spiegate e insegnate, questo mi fa arrabbiare”, aveva evidenziato Marta nel suo discorso all’Onu.
E oggi, in una testimonianza raccolta per l’Adnkronos Salute, spiega perché ha voluto parlare proprio di questo: “Mi sono accorta che nel mondo c’è tanta discriminazione nei confronti delle persone diverse, e io sono stata una di quelle che ha subito questa discriminazione. Volevo dare un po’ una voce per far ampliare di più la mentalità delle persone, anche sul fatto che bisogna essere inclusivi, darci i mezzi, la fiducia e soprattutto farci credere in noi, che abbiamo delle capacità che possiamo mettere a frutto”. Marta vive in provincia di Bergamo, con la mamma Laura. E spiega come è stata la sua vita fra i banchi: “Certi professori sono partiti da basse aspettative. Quelli di ginnastica, di inglese, di diritto hanno pensato: ‘Ha la sindrome di Down, perché insegnarle? A cosa le serve? Non capirà mai’. E mi facevano fare cose diverse rispetto alla lezione”.
STUDIO, LAVORO E VOGLIA DI FARCELA – Marta non si è data per vinta, quello che le serviva e che non le è stato trasmesso, ha provato ad acquisirlo da sé. “Tramite il computer studio inglese, studio l’etimologia, i significati delle parole. Insomma a me piace studiare e mi sarebbe piaciuto se mi avessero insegnato”, dice. Qualcuno ha creduto in lei. E Marta anche nel suo discorso li ha voluti ricordare, citando per esempio l’insegnante di sostegno delle elementari che l’ha aiutata a “costruire delle fondamenta solide per la mia casa futura”. O le sue “amiche-sorelle” che le hanno “fatto capire che io sono io e che non c’è niente di più bello che essere se stessi”. “A me serve capire il mondo intorno a me, perché sennò come faccio a interagire con gli altri e inserirmi nella società?”, era stato il suo appello.
La realtà non è sempre come vorrebbe, conferma oggi, evidenziando quanto certe figure siano importanti per come possono influire sulle vite altrui. “Al triennio iniziale delle superiori in un istituto di Scienze sociali – ricorda – la prima professoressa di diritto mi faceva studiare, mi ha insegnato e da lì ho imparato qualcosa. Così quella di psicologia. Nel biennio è stato tutto diverso, perché non hanno creduto in me. Mi facevano fare proprio altre cose. Mi facevano disegnare animali”. La mamma Laura racconta come il passaggio a un’altra scuola per finire il biennio abbia segnato il percorso scolastico di Marta. “Se alcuni professori avevano fatto un ottimo lavoro”, consentendole anche di fare le prove di triennio insieme agli altri compagni, “in quest’altra scuola improvvisamente non era più in grado di fare nulla. Alcune materie le ha seguite, con l’insegnante di sostegno più che altro, e faceva più o meno lo stesso programma, per altre materie non c’era verso. Ad esempio, il professore di ginnastica disse che non aveva tempo da perdere. Lei non lo sapeva al momento, perché l’ho schermata da queste cose”.
Alla fine del biennio, arriva il tempo degli esami di maturità. “E non volevano farle fare l’esame con tutti gli altri – racconta mamma Laura – Ovviamente lei avrebbe avuto un certificato diverso. Ma, insomma, mi hanno detto: viene qui da sola a fine sessione e va in uno stanzino a fare la sua chiacchierata. Abbiamo detto no. Insieme alla nostra associazione abbiamo dovuto litigare, abbiamo detto che non esisteva che vivesse un’esperienza del genere”, per la quale “la giustificazione era che non volevano metterla sotto pressione. Abbiamo lottato e Marta ha fatto il suo esame, l’ha fatto benissimo, è stata bravissima, i suoi compagni l’hanno festeggiata. Pressione zero. Di tutte queste cose abbiamo parlato quando è stato chiesto a Marta di parlare alle Nazioni Unite e lei ha capito fino in fondo cosa accadeva a scuola”.
Oggi Marta lavora nel magazzino di un’azienda di Bonate, dove ha fatto un tirocinio ed è stata assunta a tempo indeterminato. Coltiva anche le sue passioni. Come quella per la natura e gli animali. “Quando ho compiuto 30 anni i miei zii e un’amica mi hanno regalato un sito web mio, e ogni domenica pubblico un articolo perché voglio proteggere la natura”, spiega. Quanto al lavoro, “sono addetta al controllo e archiviazione dei certificati di trasporto mezzi nella logistica. La mia azienda è molto accogliente, mi sento ascoltata, credono in me, mi insegnano le cose, insistono con me perché io diventi autonoma, ma soprattutto sicura. La parola che userei è: sostenuta”.
TRASFORMARE IN SENSO BUONO LE PROFEZIE CHE SI AUTOAVVERANO – La campagna internazionale, che nasce con il contributo di diverse associazioni, “la trovo molto d’ispirazione”. Nel video una ragazza con sindrome di Down ha intorno persone che credono che non possa bere un cocktail, praticare boxe, studiare Shakespeare, andare a vivere da sola e limitano le sue possibilità. Ma a metà film la svolta: la giovane donna invita con determinazione a usare in senso positivo la profezia autoavverante. Se credi in me, se mi dai fiducia, potrai avere un impatto positivo e allora, forse, potrò raggiungere obiettivi, anche inaspettati. Un format breve che mostra come bambini, giovani e adulti con sindrome di Down possono suonare perfettamente il pianoforte, sciare, farsi un tatuaggio, tenere un Ted Talk di fronte a un grande pubblico, vincere un Emmy, ballare la breakdance, pattinare, avere un lavoro, andare all’università, vivere da soli, avere una relazione e sposarsi.
“Solo in una cosa io ho più difficoltà”, rispetto alla protagonista del video, dice Marta: “Io vivo in un paese piccolo, non ci sono molte persone qui sul territorio, vorrei avere più amici per uscire la sera. Mi mancano le opportunità che la ragazza nel video ha, non posso fare tutte quelle cose perché non ho autonomia nei trasporti. Vorrei andare al cinema, ai musei, qui però non ci sono mezzi per muoversi e mi dovrebbe portare mia madre verso Bergamo o Milano. Purtroppo non prendo più il bus da sola perché sono stata oggetto di brutte attenzioni, da un gruppo di ragazzi. Io parlo molto e sono socievole e loro mi hanno avvicinata alla fermata. Ho avuto paura quando ne ho parlato a casa”. Il suo desiderio per il futuro? “Se più persone accogliessero, se insegnassero alle persone con disabilità cose utili per la loro vita, sarebbe meglio. Vorrei che fossimo più inclusi nella società. Serve più compassione e rispetto, anche verso la natura e gli animali”.