Lo studio, pubblicato su Nature, offre “una speranza certa” per altre infezioni difficili da trattare
Scoperta una classe di antibiotici che potrebbero trattare le infezioni ospedaliere letali, causate da super batteri resistenti ai farmaci attualmente disponibili. Il nuovo composto, zosurabalpin, ha funzionato “estremamente bene” in provetta e nei topi, ha sottolineato il direttore scientifico della Global Antibiotic Research and Development Partnership, Laura Piddock, alla Bbc. Lo studio, pubblicato su Nature, offre “una speranza certa” per altre infezioni difficili da trattare, ha detto l’esperta parlando di scoperta “molto entusiasmante”.
I ricercatori statunitensi si sono concentrati su come trattare le infezioni causate dal batterio Acinetobacter baumannii, resistente ai carbapenemi, antibiotici ad ampio spettro. L’organismo, classificato come “patogeno critico prioritario” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, può causare infezioni invasive molto gravi del sangue e del torace in pazienti ricoverati in ospedale in condizioni critiche. Molti antibiotici conosciuti sono diventati ormai armi spuntate contro questo batterio e circa il 40-60% delle persone infette muore.
Uno dei motivi principali per cui è così difficile trovare nuovi farmaci che lo neutralizzino – spiegano gli esperti – è la struttura complessa del batterio, con una membrana a doppia parete che lo circonda e lo protegge dagli attacchi. Una configurazione a barriera che “rende molto difficile introdurre farmaci e far sì che rimangano all’interno”, spiega Piddock. Ma zosurabalpin, scoperto dopo aver analizzato circa 45.000 piccole molecole con potenziali proprietà antibiotiche, sembra distruggere la capacità del microrganismo di assemblare con successo questa fondamentale membrana protettiva. “Uno degli elementi costitutivi della parte esterna di questa cellula batterica viene distrutto da questo nuovo farmaco”, sottolinea l’esperta.
Negli esperimenti di laboratorio, il composto ha impedito il trasporto di un elemento fondamentale, un lipopolisaccaride, verso la parte esterna della cellula, impedendo la corretta formazione della membrana protettiva e portando infine alla morte cellulare.
I ricercatori hanno già completato alcuni studi su un numero relativamente piccolo di persone sane, e ora sono pronti a condurre studi clinici completi su pazienti con infezione. Ma, precisa Piddock, “siamo molto lontani” dal suo utilizzo negli ospedali.