La maggioranza di governo italiana si spacca sul Canone Rai, scatenando la furia della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che si è mostrata furibonda verso i suoi alleati Matteo Salvini e Antonio Tajani. La spaccatura è emersa il 26 novembre, quando la Commissione Bilancio del Senato ha votato l’emendamento della Lega che proponeva di mantenere la riduzione del Canone Rai da 90 a 70 euro anche per il 2025. Forza Italia ha votato contro l’emendamento, alleandosi con l’opposizione e portando così al suo respingimento, con 10 voti favorevoli e 12 contrari. Meloni ha cercato di minimizzare la situazione, definendo le tensioni come “schermaglie” e affermando che se era possibile trovare un accordo su questioni internazionali, era lecito farlo anche sul Canone Rai.
Il conflitto interno alla maggioranza, già esistente da tempo, è alimentato dalla competizione tra la Lega di Salvini e Forza Italia di Tajani, entrambi rivendicano il ruolo di secondo partito nella coalizione. Gli ultimi sondaggi indicano una crescita di Forza Italia e un calo della Lega, spingendo Tajani a chiedere maggiore attenzione per il suo partito e la possibilità di un mini rimpasto di governo.
Un ulteriore elemento di tensione è rappresentato dai rapporti tra Meloni e la famiglia Berlusconi, proprietaria di Mediaset. La proposta di legge per la riduzione del Canone Rai è correlata all’innalzamento dei limiti degli introiti pubblicitari per la tv pubblica, consentendo alla Rai di vendere maggiori spazi pubblicitari. Questa misura potrebbe danneggiare Mediaset, concorrente diretto della tv di Stato.
In questo contesto, la crisi è vista come una delle più gravi da quando Meloni ha preso le redini del governo. Le sue discussioni separate con Salvini e Tajani indicano una gestione diretta della crisi, con Meloni che attribuisce equamente le responsabilità ai due leader. La situazione pone in evidenza la fragilità della maggioranza e le sfide interne di un centrodestra in evidente difficoltà. La divisione su un tema come il Canone Rai rappresenta un campanello d’allarme per il governo, mettendo in discussione la tenuta della coalizione.