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Caso Pamela, la famiglia: "Che nel 2024 si possa finalmente avere giustizia"


Il 23 gennaio l’udienza davanti alla Corte di Cassazione sull’aggravante della violenza sessuale

Caso Pamela, la famiglia:

“Che nel 2024 si possa finalmente avere giustizia!”. E’ quanto chiede la famiglia di Pamela Mastropietro, la 18enne romana che si allontanò da una comunità di Corridonia, fu violentata, uccisa, fatta a pezzi e i suoi resti ritrovati in due trolley a Pollenza (Macerata) nel gennaio del 2018, in un post sulla pagina Fb dedicata alla ragazza, in vista dell’udienza che si terrà tra una ventina di giorni davanti alla Corte di Cassazione. Con l’accusa di aver ucciso e fatto a pezzi la ragazza, è stato condannato definitivamente Innocent Oseghale mentre rispetto all’accusa dell’aggravante della violenza sessuale la Cassazione aveva deciso un appello bis che, nei mesi scorsi, ha confermato la condanna. Intorno all’aggravante dello stupro ruota la conferma dell’ergastolo o, al contrario, un eventuale sconto di pena. A gennaio quindi, a pochi giorni dal sesto anniversario del brutale massacro, la Cassazione si pronuncerà dopo il ricorso dei legali dell’imputato.

“Il 23 gennaio prossimo si svolgerà l’ennesimo grado di giudizio in Cassazione, per decidere, una volta per tutte, se Pamela sia stata oggetto anche di violenza sessuale. Sembra assurdo, dal momento che, ancora una volta, ci si troverà a discutere sull’utilizzo o meno di un profilattico, quale linea di confine tra la sussistenza di questo reato o meno – sottolinea nel post la famiglia di Pamela – Con tutto il rispetto possibile per la stessa Corte di Cassazione che, nel 2022, fu lei a dar seguito a tale dubbio, sembra, onestamente, di vivere una situazione surreale: come si può andare a discutere di ciò in un contesto in cui una ragazzina è stata uccisa con due coltellate, deprezzata chirurgicamente in più di venticinque parti, disarticolata, scuoiata, scarnificata, decapitata, esanguata, asportata di tutti i suoi organi interni, lavata con la candeggina fin dentro la cervice uterina, messa in due trolley e lasciata sul ciglio di una strada?”.

Secondo la famiglia, che non vuole “giustizialismo, ma giustizia”, con tutta “la buona volontà del caso, a tutto ci dovrebbe essere un limite, soprattutto quando ben tre Corti di Assise abbiano, nel merito, stabilito che Pamela sia stata, ovviamente, anche violentata”.

“Leggere di polveroni mediatici sollevati per molto meno, in altri casi, aumenta l’amarezza, perché, in questo caso, pochi si sono scandalizzati, pochi sono scesi in piazza, pochi hanno gridato allo scandalo. È vero: in questo caso, c’è di mezzo, come detto, un nigeriano, ed allora si diventa tutti oltremodo volutamente indifferenti, quasi a non voler sottolineare l’accaduto che, occorre ricordare, ha costituito un unicum nella storia della criminologia mondiale degli ultimi cinquanta anni – aggiunge la famiglia di Pamela – E, dall’altra, vi è una ragazzina che, da certa stampa, è stata definita una tossica, alterando la realtà delle cose, quasi a voler dire che se la fosse quasi cercata e, quindi, meritata, la fine che ha fatto”.

“Quella stessa stampa che poi, magari, è insorta, gridando allo scandalo ed alla lesa maestà dell’autodeterminazione del genere femminile, quando si è detto che le ragazze dovessero stare attente a bere o a come andassero vestite, per evitare di incorrere in ovvi pericoli – osserva ancora – L’assurdo, è che è il nigeriano in questione a denunciare, ad ogni piè sospinto, attraverso i suoi legali, una asserita discriminazione nei suoi confronti: sì, avete capito bene!”.

“Ad ogni buon conto, confidiamo che questo anno possa mettere la parola fine a questa parte di storia, consegnando alle patrie galere Innocent Oseghale una volta per tutte e per il resto della sua vita – conclude la famiglia di Pamela – Che fosse da solo o no, costui non merita altra condanna che quella dell’ergastolo: lo chiede una diciottenne che ha fatto la fine che ha fatto; lo chiediamo noi come famiglia; lo chiede tutta la brava gente che, in questi anni, ci è stata accanto e che, come noi, si domanda come non si sia ancora posta la parola ‘fine’ su questa tragedia. Speriamo che il 2024, dunque, sia l’anno della giustizia definitiva”.

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