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domenica, 8 Dicembre, 2024
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Baglioni, il debutto giovedì a Roma col pensiero a Lampedusa


In ‘A Tutto Cuore’ 101 artisti sul palco, 8mila presenze per sei serate tutte sold out e l’immaginifica coreografia di Giuliano Peparini

Baglioni, il debutto giovedì a Roma col pensiero a Lampedusa

“Un percorso lungo”, un “sogno vagheggiato da illustrissimi predecessori, grandi compositori come Richard Wagner che parlava di ‘opera d’arte totale’ dove tante forme di espressione possono mettersi insieme, e da architetti come Walter Gropius, che pensava che la rappresentazione potesse accadere in un posto che era già della vita”. Claudio Baglioni torna sul palco con l’ultimo atto della sua trilogia, ‘A Tutto Cuore’, e parla a tutto tondo del live, di Sanremo, della sua amata Lampedusa. Abbiamo assistito alla prova generale del cantautore romano al Foro Italico, dove Baglioni debutta giovedì 21 settembre, e l’imponenza del progetto si percepisce appena entrati nell’arena dello stadio Centrale.

Un enorme cuore rosso campeggia sul palco in 3D, su un megaschermo diviso in tre. L’attesa è palpabile, vietato riprendere o fotografare: “Se proprio il demonio della documentazione vi dovesse prendere, fatelo tra qualche giorno, altrimenti ci fate un danno”, scherza Claudio in total black come al solito, parlando con il pubblico degli accreditati prima della performance. Che finalmente inizia, e l’effetto d’impatto è sorprendente. 450 luci a effetto led, ai lati i 21 polistrumentisti della band orchestra diretta da Paolo Gianolio e ben 101 artisti che si avvicendano sul palco oltre a Baglioni: ci sono infatti 52 performers e 28 tra coristi e ballerini. 550 i costumi originali, in un coreografia ideata e progettata dal direttore artistico Giuliano Peparini.

Si parte con ‘Le vie dei colori’ e mentre un ‘alter ego’ del cantante si aggira per la scena, saltimbanchi, acrobati, danzatori e maschere mescolano i linguaggi. ‘E tu come stai’, ‘Dagli il via’, lo show entra nel vivo e snocciola 40 grandi successi di un repertorio unico che fanno entrare in un’altra dimensione. Impossibile non cantare, anche per i giornalisti presenti. “Mi piace fare qualcosa che possa essere di evasione -spiega Baglioni- Non possiamo far scendere il numero degli accidenti che accadono nel mondo ma possiamo far salire il numero delle cose belle, sognanti, positive, interessanti. Non per smettere di pensare, ma per cominciare a pensare anche a qualcos’altro”. Baglioni fa tutto tranne che crogiolarsi sugli allori. “Cerco la non omologazione -sottolinea- Spesso l’artista veterano tende sempre di più a farsi un monumento autocelebrativo, ha quasi più piacere lui di andare ai suoi concerti, ma così non c’è più niente di propulsivo, diventa una sorta di cerimonia”.

E mentre la scaletta regala delle rivisitazioni di hit intramontabili come ‘Quanto ti voglio’, ‘E adesso la pubblicità’, ‘W l,’Inghilterra’, ‘Noi no’, l’imprescindibile ‘Questo piccolo grande amore’, ‘Porta Portese’ (dove con voce attoriale da mercante di strada Baglioni presenta la sua ‘crew’), ‘E Tu’ con un finale a cappella da brivido, ‘Strada Facendo’ che vede i performers andare tra il pubblico, sino al crescendo finale di ‘La Vita è Adesso’, l’idea che viene spontanea è che lo show si presti ad esplodere in spazi più ampi, come gli stadi. ll cantautore romano non scarta affatto l’ipotesi. “Sì, può essere -dice- Stiamo facendo delle prove nell’ottica di tornare su palchi più grandi. Ma bisogna ritrovare quella dimensione giusta, quel rapporto tra palco e pubblico” per fare in modo che lo spettacolo “non sia una cosa che puoi vedere solo da lontano sugli schermi e non c’è più l’azione teatrale, quella vera”.

Nella chiacchierata post concerto, davanti a un prosecco e con indosso una camicia più sbarazzina rispetto alle numerose giacche indossate nel live, c’è spazio per una serie di considerazioni più riflessive. “Il pubblico ha voglia di non stare da solo, di tornare forse ad essere chiuso dentro una casa”, rileva Baglioni, a commento delle 8mila presenze che assisteranno al live nelle sei date romane del 21-22-23-28-29-30 settembre. Inevitabile affrontare il tema dei migranti a Lampedusa, dove il cantautore è cittadino onorario e ‘padre’ di ‘O Scià’, il festival che si è svolto dal 2003 al 2012 sull’isola siciliana per accendere un faro sugli sbarchi e sull’integrazione fra etnie. “E’ una storia lunga trent’anni, una storia che ora ci mette il conto davanti. La geografia non la possiamo cambiare. Col senno di poi dico che se ci avessimo messo le mani e i pensieri venticinque, trent’anni fa, forse non saremmo arrivati a questo punto. Ora sono cavoli per tutti”, spiega Baglioni incalzato dalle domande dei cronisti. “Bisogna solo attrezzarsi per poter trovare una soluzione senza che questi argomenti diventino materia per scopi elettorali, perché altrimenti non se ne viene fuori”.

“Con quella rassegna abbiano cercato di dire che stavano accadendo già queste cose, e di dirlo a chi aveva i mezzi -affonda Baglioni- Forse era inevitabile, perché in effetti una soluzione vera nessuno l’ha mai messa in atto”. Il cantautore romano sottolinea: “Tutti abbiamo diritto di cercare una situazione migliore per la nostra vita, non possiamo condannare chi lo fa, così come non possiamo neanche condannare chi non ne può più perché crea disagi”. Baglioni poi affonda il colpo e si toglie qualche sassolino dalle scarpe sugli anni della direzione artistica di ‘O Scià’: “I contributi bisognava faticarseli ogni anno, è stata un po’ una delusione perché pensavamo di aver costruito una cosa importante. Aveva caratteristiche di spontaneità ed era diversa dal resto, ma bisognava battersela col torneo di bocce che svolgeva da in altra parte”. In ogni caso “è finita e io mi sento un po’ sconfitto, perché trovo che purtroppo non sia cambiato niente”.

Sull’isola e sui suoi abitanti “sono state dette tante cose inesatte -aggiunge Baglioni- Lampedusa fino a trent’anni fa non sapevano bene nemmeno dove fosse. La popolazione è fatta di persone che vivono in alto mare, è uno scoglietto d’Italia più vicino alla Tunisia che non all’Italia, e sono persone che hanno mostrato da sempre interesse e benevolenza. Fin da quando i telegiornali nemmeno sapevano cosa accadeva. C’è gente che accorreva, portava il suo cappotto vecchio, hanno in loro questo di soccorrere un altro essere umano. Il fatto che uno se ne meravigli mi stupisce”.

Poi, con le agenzie, una boutade su Sanremo. “Se ci tornerei il prossimo anno? Può essere, ma se tornassi lo farei da direttore artistico, e metterei in gara solo 16 canzoni. Così potrei vincere più facilmente”, scherza. Per il momento, il pubblico ha davanti 26 appuntamenti in tutta Italia per sognare ‘A Tutto Cuore’.

(di Ilaria Floris)

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