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Sono brutali gli anni settanta che Roma vive nella cappa del terrorismo. Quartieri contesi tra rossi e neri. Barriere, in apparenza, senza confini ma con il timore di venirne imbrigliati. “Anni Bui”, il libro di Salvatore Lordi presentato questo pomeriggio in Campidoglio, racconta anche questa Roma, storie di mogli rimasti senza mariti, di figli senza padri e di genitori senza figli. Una Roma che assiste impotente al dolore di quei ragazzi che, indossando una divisa, sono ammazzati dalla violenza politica. Con la testimonianza dei vertici delle Forze dell’Ordine e una prefazione del magistrato Guido Salvini, “Anni Bui” ripercorre 25 anni di storia del terrorismo in Italia, vista da un’angolazione differente: da quella dei familiari vittime del terrorismo.

Alla presentazione, patrocinata dall’assessorato alla Cultura del Comune di Roma e promossa dall’Accademia della Legalità, sono intervenuti lo storico Francesco Maria Biscione; Paola Vegliantei (presidente dell’Accademia della Legalità); Potito Perruggini Ciotta (presidente dell’Osservatorio per la Verità Storica Anni di Piombo), moderati dal giornalista Gianluca Teodori.

Nel corso dell’incontro è stato letto un messaggio inviato dal presidente del Senato Ignazio La Russa. “E’ con vero piacere che invio il mio saluto in occasione di questo prestigioso appuntamento promosso dall’Associazione Accademia della legalità per la presentazione del libro che Salvatore Lordi ha voluto dedicare a tanti esponenti delle Forze dell’Ordine che hanno perso la vita per mano del terrorismo – ha scritto La Russa – Desidero inoltre congratularmi con la Presidente Paola Vegliantei e l’Accademia della Legalità per la passione civica che contraddistingue il loro importante impegno storico, sociale e culturale rivolto, in particolare, alle più giovani generazioni. Una dedizione che oggi si traduce nella preziosa opportunità di approfondire, attraverso le pagine del volume di Salvatore Lordi, la vita privata, le storie personali, gli affetti e il ritratto umano, spesso sconosciuto, di tanti nostri giovani in divisa, vittime della ferocia armata che ha insanguinato il Paese negli anni bui del terrorismo e dell’eversione armata. Il ricordo del loro coraggio, dell’abnegazione e dello spirito di sacrificio con cui hanno difeso a costo della vita legalità e giustizia ci unisce in un dolore che è parte indelebile della nostra storia. La storia di una Nazione che deve saper rendere onore ai suoi eroi trovando nell’unità e nella coesione la forza per continuare a opporsi, con rigore e determinazione, a ogni forma di terrorismo, di violenza e di illegalità”.

“Quello che viene presentato oggi è un libro che affronta la pagina degli anni della lotta armata e del terrorismo – comprendendovi anche quelli degli attacchi degli attivisti sudtirolesi in Alto Adige negli anni ’50 e ’60 – dal lato delle vittime in divisa, ossia di tutti coloro che morirono trasformati in bersagli e di cui spesso non si sa nulla più che il nome e il numero complessivo; statistiche e non visi, caratteri, passioni, difetti, doti – ha scritto in un messaggio Miguel Gotor, assessore alla Cultura di Roma Capitale – A rievocare queste figure sono in prima fila coloro che sono rimasti, i parenti dei morti: mogli, figli, fratelli di poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari dell’Esercito che ne raccontano la vita, gli interessi, i sogni, quelle cose, piccole, intime, normali che fanno un’esistenza. Tutte cose spazzate via in un attimo e rimaste sospese nel tempo. Non è un’opera che parla di Storia ma di Memoria, che è certo una cosa differente dalla prima ma che è quel che resta dopo che il rullo compressore dei fatti è passato ed è andato oltre. E che merita sempre di essere conosciuta. Anche per questo ringrazio l’autore e tutti voi per essere qui oggi”.

“Dopo i difficili anni della pandemia e la guerra in corso abbiamo più che mai l’esigenza di richiamare ad una memoria condivisa reale che, superando tutte le ideologie, ci faccia andare oltre gli anni di piombo che tantissimo dolore hanno generato a tutti gli italiani e non solo ai familiari delle vittime – ha detto Perruggini, nipote del brigadiere Giuseppe Ciotta, ucciso nel 1977 da Prima Linea – Non possiamo più consentire a nessuno di continuare a soffiare sul fuoco dell’anarchia e dell’eversione. Non ci servono e non vogliamo altri provocatori come Cospito o moribondi da curare a spese della collettività Messina Denaro. Lo stato deve continuare a non cedere ai compromessi. Deve continuare a chiedere a chi ancora sopravvive di parlare e rendere onore al paese e alle sue vittime rivelando le verità ancora nascoste. Per questo è importante che i terroristi ancora ospitati in Francia vengano estradati in Italia (udienza a fine mese di marzo) altrimenti ci avranno ucciso due volte e in questo caso con l’appoggio esplicito di una nazione che dovrebbe essere nostra alleata. Proprio per questo bisogno di verità condivise, riscatto collettivo e riconciliazione nazionale, nasce l’idea di istituire a Roma il Museo delle vittime del terrorismo e del dovere, che il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca ha accolto subito dimostrando grande sensibilità anche su questo tema”, ha aggiunto.

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