Al webinar, ‘bassa carica virale per non trasmettere infezione una realtà anche in pazienti resistenti’
Un dato “veramente rivoluzionario” sulla “qualità di vita per le persone con Hiv è lo U=U”, ovvero ‘Undetectable equal Untrasmittable’, una condizione clinica per cui le persone in terapia antiretrovirale in cui il virus non è riscontrabile, non lo trasmettono. “Questo messaggio chiaramente è qualcosa che va ad abbattere lo stigma, la discriminazione, la paura di trasmettere la propria infezione” e apre anche “alla possibilità di avere figli normalmente”. Lo ha detto Roberta Gagliardini, specialista in Malattie infettive dell’Irccs Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, intervenendo oggi al webinar dal titolo ‘U=U: quali sono le sfide per le persone con HIV con ridotte opzioni terapeutiche?’, il primo appuntamento della seconda stagione di ‘Parliamo di Hiv oggi. Per guardare al domani’, promosso da Adnkronos in collaborazione con ViiV Healthcare e disponibile sui canali web e social del Gruppo editoriale.
Alla diretta hanno partecipato anche Antonella Castagna, direttore della Clinica di malattie infettive università Vita-Salute San Raffaele, Istituto scientifico San Raffaele di Milano, e Massimiliano Fabbiani, professore associato di Malattie infettive all’università degli studi di Siena, Azienda ospedaliero-universitaria senese. Dopo aver affrontato – nella prima stagione – il tema dei bisogni insoddisfatti delle persone con Hiv, aver descritto come pazienti, clinici, associazioni e le stesse aziende collaborano fra loro e aver approfondito le condizioni di quei pazienti con ridotte opzioni terapeutiche, il primo dei nuovi appuntamenti è ripartito proprio da dove era stato interrotto, per indagare come, grazie alle nuove opzioni terapeutiche U=U, evidenza scientifica riconosciuta dal 2019, sia raggiungibile anche per le persone con Hiv che hanno sviluppato resistenza. Negli ultimi due anni si sono infatti rese disponibili delle nuove molecole che agiscono con meccanismi d’azione innovativi e che colpiscono il virus su diversi bersagli.
“L’azzeramento della viremia plasmatica – afferma Fabiani – è il traguardo a cui dobbiamo puntare in tutte le persone che vivono con Hiv. Con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi, di fatto, è il traguardo che dobbiamo necessariamente cercare di raggiungere”. In Italia “abbiamo più del 90% dei pazienti in soppressione virologica – aggiunge Castagna – Nei pazienti con Hiv che per le più varie ragioni non riescono a negativizzare la viremia plasmatica dopo anche tanti anni di presa in carico, i cosiddetti pazienti difficili, è molto importante utilizzare i farmaci nuovi che sono disponibili in Italia, in combinazione con i farmaci del passato, per ottenere anche in questi pazienti quello che è l’obiettivo principale e importante per loro e anche per la comunità perché, se non sono a viremia negativa, rischiano di trasmettere un virus multiresistente ad altri”.
Grazie alle nuove terapie, “altamente efficaci e ben tollerate – osserva Fabbiani – il percorso assistenziale delle persone che vivono con Hiv è profondamente cambiato perché la prognosi dell’infezione è notevolmente migliorata. Se fino a 10 anni fa programmavamo dei controlli ogni 2-3 mesi, attualmente le linee guida ci dicono che, nelle persone che soddisfano i criteri dell’U=U, cioè la stragrande maggioranza, si possono fare una volta ogni sei mesi, riducendo la medicalizzazione, quindi migliorando la qualità di vita di queste persone”. Ciò è possibile perché “abbiamo a disposizione delle molecole più moderne, definite ad ‘alta barriera genetica’, cioè più robuste, che mantengono la loro efficacia anche quando quella dei vecchi farmaci si è persa, sono più pratiche nella somministrazione e meglio tollerate: tutte caratteristiche che contribuiscono a migliorare l’efficacia delle terapie e anche a facilitare quella che è l’aderenza dei pazienti all’assunzione della terapia stessa. Tutto questo – continua Fabbiani – fa sì che oggi, di fatto, anche nei pazienti che hanno una lunga storia di malattia e di insuccessi terapeutici si possa costruire un regime terapeutico che è altamente efficace, che permette di raggiungere il controllo della replicazione del virus e il mantenimento di quello status che è compatibile con l’U= U”.
Il miglior controllo della malattia e l’aumento dell’aspettativa di vita, hanno reso le persone con Hiv vulnerabili alle malattie dell’invecchiamento. “Oggi – spiega Castagna – diverse evidenze” mostrano che questi pazienti “hanno un rischio doppio, rispetto alla popolazione generale, di avere malattie cardiovascolari e un rischio comunque più alto di sviluppare neoplasie”. Per questo si prevede “lo screening precoce per patologie cardiovascolari e per alcune neoplasie – tumore della prostata e anale – oltre a intervenire su quelli che possono essere gli stili di vita e i fattori che possono ridurre il rischio di alcune complicanze metaboliche. È quindi molto importante utilizzare, anche nell’ambito della terapia antiretrovirale, quei farmaci che sono meno legati a tossicità”.
Sempre in tema di prevenzione, è fondamentale “poter offrire a tutte le persone con infezione di Hiv – ribadisce Gagliardini – dei buoni programmi di screening oncologico, di vaccinazioni laddove indicate, di prevenzione delle comorbidità e delle patologie legate all’età”. Resta poi la sfida “di riuscire a raggiungere anche le persone che non sono aderenti alla terapia e che per motivi legati al proprio vissuto o a scelte personali decidono di interrompere” il trattamento. “Oggi – conclude – anche per loro ci sono molecole” in grado di portare “al successo virologico” auspicato.